La radio, mezzo senza età

È il 1901 quando Guglielmo Marconi riesce a far viaggiare la lettera “S” oltreoceano, realizzando il primo collegamento radio-telegrafico transatlantico tra la Cornovaglia e il Canada; ben presto si fa largo l’idea di veicolare contenuti sonori alle masse e, nel 1922, in Inghilterra, viene fondata la stazione radiofonica più antica del mondo: la Bbc. Il successo della “scatola parlante” è immediato, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, dove il numero di stazioni e di ricevitori cresce vorticosamente. Ai suoi albori il mezzo radiofonico è attrattivo, centripeto. Le famiglie si riuniscono, trepidanti, intorno alla scatola parlante. L’informazione, la politica, la pubblicità e la guerra scoprono, attraverso questo mezzo, un potere enorme. Il 30 ottobre del 1938, quando Orson Welles racconta alla radio il terrificante sbarco sulla Terra di macchine aliene e di facinorose creature extra-terrestri, con tanto di cronisti e urla terrorizzate di passanti, l’effetto sugli ascoltatori è potente e devastante: si scatena il panico. Sono gli anni di Radio Londra, le cui trasmissioni in italiano si aprono con le prime note della 5ª Sinfonia di Beethoven, che scandiscono secondo l’alfabeto Morse la lettera “V”, di “Victory”, che gestualmente Churchill oppone al saluto nazi-fascista.

Sono gli anni delle radio a valvola, che caratterizzeranno la tecnologia radiofonica fino alla metà degli anni Cinquanta, quando, con l’inizio della programmazione televisiva, si era temuto per la sua “scomparsa”. Ma il medium, proprio in quegli anni, subisce una delle sue metamorfosi: con l’avvento dei transistor la radio si fa più piccola, addirittura tascabile, un cambiamento destinato a dinamizzarne la funzione e a cambiarne profondamente il mercato, la concezione e l’uso. Un’altra circostanza gioca a favore della radio: nel luglio 1976, la Corte costituzionale sancisce la legittimità delle radio libere, decretando la fine del monopolio della radio di Stato e portando alla fioritura in Italia di numerose nuove emittenti.

Si teme nuovamente per la sopravvivenza di questo mezzo attorno agli anni Novanta, con la diffusione delle tv commerciali. E poi ancora, in tempi più recenti, con l’avvento del Web. E invece, leggendo i dati di uno studio condotto nei primi mesi del 2018 da Ebu (European Broadcasting Union), emerge come la fiducia da parte dei cittadini europei nella radio (59%) superi quella per Internet (34%) e per i social network (21%).

“Video killed radio star”, cantavano nel 1979 i The Buggles, ma nella realtà la radio non muore, perché è capace di adattarsi al nuovo, trasformandosi come oggetto fisico: per ascoltarla si possono usare lo smartphone, il computer, l’Ipod. La versatilità e la flessibilità tecnologica di questo mezzo si legano alla possibilità di ascoltarla ovunque, si sia fermi o in movimento. Dai dati diffusi dal Tavolo editori radio relativi al primo semestre del 2018 risulta che oltre 34 milioni e mezzo di persone sopra i 14 anni di età sono stati fruitori di questo mezzo.

Già nel 1964 il sociologo canadese Marshall McLuhan ne “Gli strumenti del comunicare” definiva la radio un “medium caldo”, che “tocca intimamente, personalmente, quasi tutti in quanto presenta un mondo di comunicazioni sottintese tra l’insieme scrittore-speaker e l’ascoltatore. È questo il suo aspetto immediato: è un’esperienza privata. Le sue profondità subliminali sono cariche degli echi risonanti di corni tribali e di antichi tamburi. Ciò è insito nella natura stessa del medium, per il suo potere di trasformare la psiche e la società in un’unica stanza degli echi”. Oggi grazie al Web è possibile usufruire anche del podcasting, che consente di scegliere quando ascoltare un programma.

A sottolineare la versatilità e la resilienza di questo mezzo è anche, nel saggio “La radio nella rete”, Giorgio Zanchini, conduttore del programma di Rai Radio 1 “Radio anch’io”, che abbiamo intervistato nel Faccia a faccia di questo numero.

Insomma, la radio gode di buona salute malgrado i ricorrenti presagi di morte. “L’abitudine di predire che un’invenzione disruptive uccida gli strumenti concorrenti in un battibaleno è un equivoco che ha accompagnato la storia delle invenzioni”, commenta Andrea Filippetti dell’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie (Issirfa) del Cnr. “Nel suo “La rivoluzione copernicana”, Thomas Kuhn aveva mostrato come tutte le nuove teorie scientifiche abbiano vita dura nel soppiantare le vecchie. Perfino la teoria copernicana ha faticato ad affermarsi sul sistema tolemaico. C’è voluto del tempo affinché la teoria geocentrica fosse sostituita da quella eliocentrica”. Lo stesso vale per le tecnologie.

“La radio ha retto bene agli attacchi della televisione, grazie alle sue specificità. Lo stesso è avvenuto nei confronti della Rete, nella quale la radio sembra aver trovato un’alleata. Ma anche se le due piattaforme fossero entrate in conflitto, affinché una nuova tecnologia dirompente dispieghi tutto il suo effetto occorre generalmente molto più tempo e maggiori investimenti collaterali di quanto non si pensi”, conclude il ricercatore del Cnr-Issirfa. “Non possiamo escludere che a un certo punto su Internet si possa sviluppare una forma di trasmissione in grado di soppiantare la radio, ma nel frattempo ci staremo già domandando perché anche Internet non sia stata ancora sopraffatta dalla prossima nuova tecnologia…”.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
Per saperne di più: Almanacco della Scienza

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