Una scienziata, una donna

Dal sito dell’Istituto Superiore di Sanità un omaggio a Rita Levi Montalcini, tratto da “Curiosamente”, a cura di Enrico Garaci.

Un microtomo, sei portaoggetti, un sostegno per portaoggetti, un nastro trasportatore e un porta nastro. Questo chiese Rita Levi-Montalcini a Daniel Bovet che dirigeva, allora, all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il Laboratorio di Chimica Terapeutica, per cominciare nel 1963 la sua attività. Ho ritrovato questa richiesta tra le carte conservate all’Istituto, a testimoniare la lunga trama che annoda Rita Levi-Montalcini alla nostra storia. Una trama testimoniata anche dal ricordo di chi, pur lavorando con lei altrove, ricordandola ci racconta che il primo incontro con lei avvenne qui, tra queste mura in mezzo ai nostri strumenti.

I nostri laboratori furono i primi a ospitare il suo impegno al rientro dagli USA, dopo la guerra e l’onta delle leggi razziali, dandoci il privilegio di custodirlo e di fare ammenda delle spregevoli motivazioni che l’avevano allontanato.
Io però la conobbi più tardi, in quella che poi fu la sua casa per molti anni, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), dove invocava uno spazio autonomo per la neurobiologia, che era allora solo un reparto del più ampio Laboratorio di Biologia Cellulare dell’Istituto. A quei tempi presiedevo il Comitato di biologia e medicina del Centro e insieme al Presi- dente di allora, Luigi Rossi Bernardi, decidemmo di fondare l’attuale Istituto di Neurobiologia. Molto valse a convincerci la sua determinazione, le ragioni che lei instancabilmente portava avanti con intelligenza e tenacia. La incontrai quindi che lottava per quell’Istituto di cui fu davvero la musa ispiratrice. La sua battaglia non era soltanto una battaglia per uno spazio e un’autonomia di quel settore, ma anche una lotta per affermare ulteriormente l’identità delle neuroscienze che in quel periodo imponevano la loro forza conoscitiva e invadevano di nuova linfa tutto il sapere biomedico.

L’esplosione delle neuroscienze, infatti, era il frutto di costanti e faticose ricerche effettuate negli anni precedenti a cui aveva partecipato anche dall’America la stessa Rita. Ricerche che avevano mostrato come questa disciplina fosse in grado di fornire modelli capaci di disegnare realtà complesse ed estremamente ricche di stimoli, come ben sapeva chiunque attraversasse all’epoca quei filoni di ricerca illuminati ormai da luce nuova.
Erano gli anni Ottanta ed era passato già diverso tempo dal suo rientro in Italia. Il suo soggiorno all’ISS era ormai concluso e la sua affermazione come ricercatrice di fama internazionale e la sua carriera al CNR erano sempre più in ascesa. Ma il ricordo che ho di lei non si limita a quello di un’ottima ricercatrice e di una creativa della scienza. Era impossibile incontrare Rita Levi-Montalcini e non scorgere una donna dagli occhi luminosi, curiosa della vita e del mondo, animata ogni volta che, nella discussione, si intrecciava l’etica con la scienza.

Il suo entusiasmo genuino, sincero di fronte alla ricerca, quel trasporto e quella felicità, che più volte lei stessa ha raccontato quando le trasformazioni cellulari dei suoi embrioni di pollo le raccontavano qualcosa di più sulle strutture nervose, non si sono mai limitati solo alla scienza. Con altrettanta passione e deter- minazione non si è mai risparmiata nelle battaglie contro le discriminazioni di genere, contro le diseguaglianze e contro tutti i pregiudizi e le culture che generano sofferenza.
La conobbi due anni prima che ricevesse il Premio Nobel e due anni dopo la ritrovai la stessa, ma con un’arma in più: una nuova e maggiore popolarità da mettere al servizio di vecchie cause. Sempre le stesse del suo cuore: l’affermazione del valore della conoscenza scientifica, la lotta contro le ingiustizie, l’amore per i giovani, destinatari elettivi e principali di tutti i valori più alti.

Il Nobel dunque per Rita non è stato un punto d’approdo, piuttosto un altro punto di partenza, uno strumento da usare per promuovere ideali di giustizia e di equità. Perché il lavoro paziente di una vita condotto nei laboratori, i tasselli della conoscenza rigorosamente assemblati potessero avere un altro effetto sul mondo e testimoniare attraverso le strade della conoscenza, che giustizia e uguaglianza non sono parole vuote.
Ho avuto il piacere di lavorare con lei, di provare da vicino quell’entusiasmo di cui tutti parlano quando contribuii agli studi sugli effetti del Nerve Growth Factor (NGF) in un ambito diverso da quello delle cellule nervose e provammo a osservare l’azione del fattore di crescita nel nostro campo d’azione e cioè quello immunitario. Sperimentammo così l’ipotesi che questo fattore di crescita fosse anche un fattore critico essenziale per la sopravvivenza dei linfociti B della memoria immunitaria e scoprimmo che, facendo esperimenti in vivo sui topi, in assenza di questo fattore, i linfociti B andavano in apoptosi, cancellando così la memoria immunitaria verso gli antigeni.

Più tardi, in un nostro lavoro pubblicato sull’AIDS, mostrammo anche come, nel caso di macrofagi infettati con l’HIV, questo fattore protegga la cellula stessa dall’apoptosi. Data l’importanza che il macrofago riveste nell’infezione da HIV come potente reservoir del virus stesso, sono stati effettuati ulteriori studi che hanno dimostrato che gli anticorpi contro l’NGF determinano l’apoptosi dei macrofagi infettati e la distruzione del virus. Tutti risultati che sono andati poi, nella direzione di mostrare l’importanza dinamica di questo fattore nell’organismo umano.
Ma se questo fu il punto esatto in cui la incontrai sul sentiero scientifico, in altri incroci, tempo dopo, trovai lo stesso entusiasmo e la stessa partecipazione a intraprendere nuove battaglie. Con la saggezza di chi ha a cuore la qualità degli obiettivi e il bene della collettività non ha risparmiato né critiche né plausi alle azioni politiche, a seconda che aiutassero o danneggiassero la crescita della ricerca scientifica del nostro Paese, e indipendente- mente dalla parte da cui esse provenivano.

Il mio filo con Rita continua ad allungarsi quindi ormai da molto tempo. Dai tempi del CNR fino a oggi che ha festeggiato con noi i settant’anni di vita del nostro Istituto e dove l’ho ritrovata nelle battaglie per i finanziamenti alla ricerca e nella disponibilità che ancora oggi continua a concedere a tutti noi che ci occupiamo di scienza.
Le testimonianze che abbiamo voluto raccogliere sono un omaggio a una donna che con la sua vita racconta anche una parte della storia di questo Paese, delle sue lotte e delle sue sofferenze che hanno tutte un denominatore comune: passione e dedizione. Sono brevi ritratti che ci restituiscono una donna qual è oggi Rita: un’enorme riserva di energia e di passione per la vita come solo chi ama la conoscenza può provare, con una curiosità e un trasporto anche squisitamente umano che è la ragione dell’affetto che traspare da tutti questi ricordi: un intreccio di sguardi. Occhi che ha incontrato al suo rientro in Italia, alcuni dei quali ancora oggi la guardano da vicino. Tutti ci restituiscono una scienziata e poi una donna capace di una curiosità infinita, una “curiosa mente” con un desiderio di conoscere tutto ciò che osservava al microscopio e tutto quello che spiegava il mondo, la vita, gli uomini.

Con la pazienza di un artigiano Rita Levi-Montalcini ha costruito la trama di ciò che la letteratura scientifica ci avrebbe un giorno restituito nella descrizione del fattore di crescita, quella citochina, quel messaggero delle cellule neuronali che avrebbe rotto il paradigma scientifico tradizionale per disegnare un nuovo scenario che aiuta a una maggiore comprensione del cervello, della mente e dei suoi meccanismi.

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