Una memoria di ferro

I materiali intelligenti, cosiddetti “smart”, sono uno degli argomenti più studiati negli ultimi anni. Un materiale, perché possa essere considerato tale, deve mostrare la capacità di rispondere a uno o più stimoli esterni e adattare le sue proprietà alle nuove condizioni dell’ambiente circostante. Nella fattispecie, se mostra una risposta meccanica quando viene riscaldato viene considerato un “materiale a memoria di forma” (shape memory materials, Smm), mentre la capacità di recuperare le deformazioni meccaniche che subisce è detta “effetto memoria di forma” (shape memory effect, Sme). A parlarci di leghe a memoria di forma (shape memory alloys, Sma) e di polimeri a memoria di forma sono rispettivamente Francesca Passaretti dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia (Icmate) e Giuseppe Lama dell’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Cnr.

Da più di 20 anni presso una sede del Cnr di Lecco, ora parte del Cnr-Icmate, si studiano e sviluppano materiali metallici che hanno una caratteristica particolare: se sottoposti a un determinato percorso di trasformazione “ricorderanno” le condizioni a cui sono stati soggetti nel corso di questa trasformazione. Quindi anche i metalli hanno memoria? “In un certo senso sì”, spiega Francesca Passaretti, “Esistono materiali che hanno la capacità di recuperare una configurazione atomica e, di conseguenza, una configurazione macroscopica, una forma predefinita che sia stata fatta loro memorizzare con opportuni trattamenti. La forza agente in grado di attivare il processo di recupero della forma originale può essere, a seconda dei casi, un cambio di temperatura, una forza meccanica esterna o un campo magnetico, spesso in combinazione tra  loro. Le leghe metalliche a memoria di forma sono interessanti da studiare e stimolanti nelle loro possibilità di applicazione, in particolare nel settore biomedicale. La più conosciuta tra queste leghe è il Nickel-Titanio (NiTi). Si tratta di composti detti intermetallici che, oltre all’effetto di memoria di forma, sono caratterizzati da un’altra particolare proprietà funzionale: la superelasticità, ossia la capacità di immagazzinare e recuperare totalmente grandi deformazioni (fino al 12-15%) ovvero la possibilità del materiale di subire deformazioni elastiche con elongazioni o compressioni molto superiori a quelle esibite dai normali metalli”.

Da anni le Sma sono utilizzate nel settore biomedicale, pensiamo agli stent endovascolari usati per garantire il flusso sanguigno nelle arterie o agli apparecchi ortodontici e alle clips per saldare fratture ossee. Per fare solo alcuni esempi, al Cnr-Icmate sono stati sviluppati e brevettati snodi pseudoelastici e al momento è oggetto di studio l’utilizzo di questi materiali nella realizzazione di fili di sutura. Vi sono inoltre applicazioni nel settore aerospaziale, per la realizzazione di sensori termici, amplificatori o attuatori e non sono da meno le applicazioni nel design e nell’arredo, ad esempio nelle montature per occhiali o nella illuminazione di interni. Anche il settore della meccanica e termotecnica privilegia in certi casi componenti con Sma per la realizzazione di dispositivi in grado di integrare le funzioni di sensori e attuatori (valvole, sprinkler, condizionatori d’aria ecc.) e per la realizzazione di manicotti per accoppiamento di tubi. Sono infine da citare le applicazioni nel campo dei beni culturali, con particolare riferimento a dispositivi antisismici. “Queste leghe non si limitano a NiTi e derivati. Una interessante linea di ricerca riguarda lo studio di sistemi ferromagnetici e meta-magnetici a memoria di forma (FeSma) anche ad alta temperatura”, aggiunge la ricercatrice. “Questa attività riguarda la preparazione e caratterizzazione di campioni policristallini partendo dalla lega principale NiMnGa fino a sistemi quaternari anche a base Fe. Per queste leghe l’accoppiamento del magnetismo e della memoria di forma dà il via allo sviluppo di proprietà multifunzionali, guidate anche dal campo magnetico. Da qui la possibilità di effetti molto interessanti per applicazioni nella scienza dei materiali. Nel campo dei materiali metallici funzionali le Sma hanno abilitato lo sviluppo e la realizzazione di dispositivi innovativi, che progressivamente si sono affermati nei mercati di riferimento passando da applicazioni di nicchia ad applicazioni di massa”.

Lo studio effettuato dal Cnr-Ipcb relativo a questo tipo di materiali riguarda invece i cosiddetti polimeri, o più precisamente elastomeri, a memoria di forma, tra i più studiati in questo settore data l’ampia possibilità di ingegnerizzare ogni loro singolo aspetto. In generale, i materiali studiati presentano ottime proprietà meccaniche, pur avendo una ridotta densità. Inoltre, aspetto fondamentale per il loro eventuale utilizzo, hanno la capacità di esprimere l’effetto di memoria di forma anche per notevoli deformazioni, resistendo anche a sollecitazioni continuate. Questi materiali possiedono un’eccellente stabilità chimica, un’elevata capacità di smorzamento, oltre a risultare in buona parte biocompatibili, quindi potenzialmente adatti all’applicazione in ambito biomedicale. “Gli elastomeri studiati sono stati realizzati a partire da una reazione chimica (tra un monomero epossidico rigido e un monomero carbossilico a catena lunga flessibile), le cui formulazioni garantivano la realizzazione di un materiale liquido-cristallino”, spiega Giuseppe Cesare Lama. “Tale caratteristica è stata la chiave per ottenere l’effetto di memoria di forma, in quanto, una volta che il materiale è deformato in particolari condizioni, è in grado – se riscaldato – di recuperare la forma iniziale, subendo un passaggio di stato da liquido-cristallino a amorfo”.

Tali materiali hanno rappresentato la base per la realizzazione di diverse tipologie di nanocompositi a memoria di forma. “In particolare, sono state selezionate due tipologie di filler nanometrici: nanotubi di carbonio e ossido di grafene. La presenza dei nanofiller a base carboniosa ha consentito di ottenere lo stesso effetto di memoria di forma anche a mezzo dell’applicazione di un campo elettrico. Ciò è legato al fatto che i nanofiller risultano essere interconnessi tra loro, creando un network conduttivo all’interno della stessa matrice polimerica”, conclude Lama. “Grazie a tale struttura, l’effetto di memoria di forma è in effetti attivato a mezzo dell’effetto Joule per il quale, al passaggio di una corrente elettrica attraverso una materiale conduttivo, si genera una certa aliquota di calore, che quindi attiva la memoria di forma. Al momento sono allo studio altri sistemi che utilizzando elastomeri liquido-cristallini (Lce), nanocompositi al cui interno sono dispersi nanotubi di carbonio. Tali filler, oltre a risultare buoni conduttori elettrici, hanno una particolare interazione con la luce a infrarossi, in quanto, una volta investiti da tale radiazione, si riscaldano per effetto fototermico. Utilizzando tali materiali, è possibile teorizzare un comportamento di cambiamento di forma ‘autonomo’, attivato da luce nello spettro dell’infrarosso”.

E siamo solo all’inizio. La ricerca di base in questo campo conta già su risultati molto promettenti per nuovi materiali con proprietà funzionali che potranno essere presto implementati in dispositivi futuri per nuove e diversificate applicazioni.

Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
Per saperne di più: Almanacco della Scienza

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