Non ti parlo più: il social uccide la parola

Internet continua a modificare il modo con cui le persone comunicano e si informano. Da quando il cellulare si è trasformato in smartphone, acquisendo tutti i ‘poteri’ del web, sono cambiate molte cose: se fino a pochi anni fa l’alternativa alla chiamata erano sms su schermi troppo piccoli per poter esplicitare un pensiero poco più che basilare, ora sui nuovi device si possono addirittura guardare film e, utilizzando whatsapp e telegram, scrivere testi complessi con l’ausilio di emoticon, foto, link e allegati vari, che ne chiariscono il significato. Il risultato è che le persone… telefonano sempre meno. Nel 2015 le chiamate vocali sono diminuite del 25% nei mercati sviluppati, il doppio rispetto al 2014. In particolare, secondo l’americano Pew Research Center, la percentuale di teenager che telefona non supera il 19% contro il 55% di chi invece chatta.

I numeri parlano chiaro, whatsapp ha superato il miliardo di clienti e l’anno scorso gli abbonamenti per il solo traffico di dati (quindi niente telefonate) sono aumentati a livello mondiale del 26%. Ma perché? Dalle interviste riportate sul sito Business Insider sembra che per i giovani telefonare sia intrusivo e fastidioso e che venga rivendicato il diritto di rispondere quando uno se la sente. I messaggi invece, possono essere letti quando si ha tempo (e voglia) e, prima di essere inviati, c’è sempre modo di correggerli. La telefonata va invece improvvisata e questo rende i ragazzi insicuri. Il rischio è che però la disaffezione al confronto verbale sincrono porti un’intera generazione a non saper interagire con gli altri nei tempi, spesso frenetici, che la società e il mondo del lavoro impongono.

Il web ha influenzato anche il modo di leggere il giornale. Se prima il quotidiano era soltanto cartaceo, ora, secondo l’organizzazione mondiale degli editori Wan-Ifra, in alcune delle economie più sviluppate i lettori sulle piattaforme digitali hanno superato numericamente quelli della stampa. A livello globale, almeno il 40% degli utenti di internet legge i giornali online. Il fenomeno del passaggio dei lettori dalla carta al web non accenna ridimensionarsi: 7 britannici su 10 leggono le news su pc, tablet o mobile. È significativo anche che, in alcuni Paesi, i ricavi diffusionali digitali comincino a compensare quelli, calanti, della stampa. Sempre secondo Wan-Ifra, infatti, tra gli utenti di notizie online, circa uno su cinque è disposto a pagare per averle. Per quanto riguarda l’Italia, “l’ecosistema dei media è caratterizzato da un settore televisivo molto forte, un più debole settore della stampa e un crescente uso della rete nei dispositivi mobili a fini informativi”, afferma il Reuters Institute nel recente report ‘Digital News’, specificando che Repubblica.it, TgCom24, SkyTg24, Ansa e Corriere.it sono oggi le principali fonti di informazione online del Paese.

E visto che anche l’orecchio vuole la sua parte digitale, per la prima volta nella storia della discografia italiana i supporti fisici per ascoltare la musica, come cd e vinili, sono stati superati nelle vendite dalla musica digitale, che si è accaparrata il 51% del mercato. Secondo i dati rilevati da Deloitte per la Federazione industria musicale italiana (Fimi), determinante è stato lo streaming in abbonamento su piattaforme online come Spotify, Apple Music, Deezer e TimMusic, che rappresenta ormai il 40% della torta discografica. Nei primi sei mesi dell’anno il fatturato si è attestato a 66,4 milioni di euro: l’1% in più rispetto all’anno scorso e il 23% in più del 2014. “In Italia il cd regge comunque meglio che altrove”, ha dichiarato Enzo Mazza, presidente Fimi. “Nei Paesi nordici ormai tutto passa dal digitale. Noi scontiamo ancora un deficit di penetrazione della banda larga”.

(Fonte: Almanacco della scienza – CNR)

Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR

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