Libertà: Etnografia e storia di una società di antico regime

Isaiah Berlin
Cura: Henry Hardy
Traduzione: Gianlazzaro Rigamonti, Marco Santambrogio
Collana: Universale Economica – Feltrinelli
Pagine: 464 Prezzo: Euro 15

“L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarsi per le proprie convinzioni per il solo fatto che sono proprie. La vera libertà è questa, e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l’illusione di averla.” Isaiah Berlin. L’edizione comprende Due concetti di libertà e Quattro saggi sulla libertà. Una lettura imprescindibile nel campo della filosofia politica e della storia delle idee.

Il libro
Pochi tra gli intellettuali del Novecento hanno avuto un pubblico vasto come quello di Isaiah Berlin. Storici delle idee, filosofi della politica e del linguaggio, studiosi di letteratura russa e lettori comuni hanno imparato ad apprezzarne gli scritti. La sua lezione inaugurale su Due concetti di libertà, tenuta a Oxford nel 1958, è considerata un classico del pensiero politico. In essa Berlin articola la distinzione tra libertà negativa e positiva facendone la chiave di volta di un affascinante affresco dei diversi modi in cui gli esseri umani parlano di un’idea centrale nel nostro modo di pensare. Che significa non essere liberi di fare qualcosa? Che rapporto c’è tra libertà e desiderio? Berlin risponde a queste e ad altre domande guidando il lettore in uno straordinario viaggio attraverso la storia delle idee politiche e sociali, da Platone fino ai grandi drammi del Novecento. Gli altri scritti che accompagnavano quella lezione nei Quattro saggi sulla libertà ne sviluppavano il tema in diverse direzioni indagando temi classici della filosofia, come il determinismo o i rapporti tra libertà e conoscenza; entrando nel vivo di alcune tra le più importanti questioni della politica, come la minaccia del totalitarismo; ricostruendo il pensiero di un classico del liberalismo, come John Stuart Mill. Questa nuova edizione degli scritti di Isaiah Berlin sulla libertà, completamente rivista e con l’aggiunta di nuovi saggi, mette finalmente a disposizione dei lettori italiani una delle più significative testimonianze del liberalismo contemporaneo, una voce unica, che parla con ironia e umanità di cosa voglia dire essere una persona

Isaiah Berlin, Libertà
dall’Introduzione
“L’on immole à l’être abstrait les êtres réels; l’on offre au peuple en masse l’holocauste du peuple en détail.”
Benjamin Constant, De l’esprit de conquête

Il primo dei cinque saggi di questo libro è apparso nella rivista “Foreign Affairs” di New York, nel numero dedicato alla metà del secolo; gli altri quattro erano in origine delle conferenze. Vi si affrontano diversi aspetti della libertà individuale e in primo luogo si considerano le vicissitudini di questo concetto attraverso le battaglie ideologiche del nostro secolo; in secondo luogo si considera il significato che esso ha assunto negli scritti degli storici, degli scienziati sociali e degli autori che si sono occupati dei presupposti e dei metodi della storia e della sociologia; in terzo luogo, si esamina quale importanza abbiano avuto le due principali concezioni della libertà nella storia delle idee; in quarto luogo vedremo quale ruolo abbia svolto l’ideale della libertà individuale nella concezione di uno dei suoi sostenitori più convinti, John Stuart Mill; e infine nel rapporto tra conoscenza e libertà
Il primo, il quarto e il quinto di questi saggi hanno suscitato ben pochi commenti, mentre il secondo e il terzo hanno stimolato una discussione ampia e, a mio parere, fruttuosa. Dal momento che alcuni dei miei antagonisti hanno avanzato obiezioni che mi sembrano pertinenti e corrette, mi prefiggo di sottolineare i punti in cui penso di essermi reso colpevole di errori o di oscurità; altre critiche (come spero di dimostrare) mi sembrano errate. Alcuni tra i miei critici più severi attaccano le mie idee senza addurre né fatti né argomenti, oppure mi attribuiscono posizioni che non sono le mie. Anche se questo può essere dovuto, a volte, a una mia mancanza di chiarezza, non mi sento tenuto a discutere, né tanto meno a difendere, posizioni che in alcuni casi appaiono altrettanto assurde a me che a coloro che le attaccano.


I principali punti di dissenso tra me e i miei critici più seri si possono raccogliere sotto quattro voci: primo, il determinismo e la sua pertinenza alle nostre nozioni dell’uomo e della sua storia; secondo, il ruolo dei giudizi di valore e, in particolare, dei giudizi morali nella riflessione storiografica e sociologica; terzo, la possibilità e l’opportunità di distinguere, entro la teoria politica, quella che gli autori moderni hanno definito libertà “positiva” dalla libertà “negativa”, e la pertinenza di questa distinzione rispetto all’ulteriore differenza tra la libertà e le condizioni della libertà, nonché la questione di che cosa renda la libertà, di entrambi i tipi, un bene intrinsecamente degno di essere perseguito o posseduto. Infine, vi è il problema del monismo, dell’unità e armonia dei fini umani. Mi sembra che la contrapposizione che a volte si istituisce tra la libertà “negativa” e le altre finalità sociali e politiche, perseguite dall’uomo e più chiaramente positive – come l’unità, l’armonia, la pace, l’autodeterminazione razionale, la giustizia, l’autogoverno, l’ordine, la cooperazione nel perseguimento di fini comuni – trovi le sue origini, almeno in alcuni casi, nell’antica dottrina secondo la quale tutte le cose veramente buone sono connesse le une alle altre così da formare un’unica totalità perfetta – o, per lo meno, così che non possa esistere tra loro alcuna incompatibilità.

Tutto ciò ha come corollario che la realizzazione di questo complesso di finalità sia l’unico vero obiettivo che qualunque attività razionale, sia pubblica sia privata, si propone. Se questa ipotesi dovesse risultare falsa o incoerente, ciò potrebbe distruggere o indebolire le basi di gran parte del pensiero e dell’azione nel passato e nel presente; e come minimo potrebbe influire sui concetti di libertà individuale e sociale, e sul valore che a essi si attribuisce. Anche questo problema è dunque pertinente e al contempo fondamentale.
Voglio iniziare dal problema fra tutti più dibattuto, in quanto ha a che fare con la stessa natura umana: quello del determinismo, sia esso causale o teleologico. La mia tesi non è, come hanno sostenuto alcuni dei miei critici più accaniti, che il determinismo sia sicuramente falso (e ancora meno che io possa dimostrarlo); ma solo che gli argomenti in suo favore non sono conclusivi e, se mai esso diventasse un’assunzione largamente accettata e venisse a far parte del tessuto dei pensieri e della condotta generalmente condivisi, il significato e l’uso di certi concetti e di certe parole, centrali nel pensiero umano, diverrebbero obsoleti, a meno di essere drasticamente modificati. (…)

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