Chi pratica sport non pensa al suicidio

Gli studenti del college che praticano sport sembrano essere meno inclini al suicidio. Questo è il risultato di una ricerca condotta da un team di studiosi di Atlanta, Georgia, che pare abbia individuato un legame tra la pratica sportiva e la diminuzione del rischio di suicidio.

Il perché di questa relazione è ancora ignoto, anche se sembra che vada ricercato nel supporto degli altri membri appartenenti alla squadra, nel valore dell’allenamento collettivo come momento di aggregazione o ancora nell’opportunità di ottenere successi in un ambito così competitivo della vita. I ricercatori hanno quantificato il rischio di suicidio degli sportivi, che è circa 2,5 volte minore per gli uomini e 1,67 per le donne rispetto ai coetanei che non praticano sport. I risultati, come si può vedere, sono diversi per gli uomini e per le donne. Gli uomini che non svolgono nessuna attività sportiva hanno il doppio delle probabilità di tentare il suicidio rispetto a chi si dedica ad un qualsiasi tipo di allenamento anche leggero. Per quanto riguarda le donne, i ricercatori hanno notato che i dati sono completamente invertiti: le signore che praticano attività sportive in modo serio anche 6 o 7 giorni alla settimana hanno il doppio delle probabilità di suicidarsi rispetto alle loro coetanee decisamente più pigre. Tutto ciò è molto preoccupante, ma gli studiosi pensano che i dati sopra riportati abbiano un significato ben preciso. Infatti, secondo il loro parere, le donne che sono a rischio per i tentativi di suicidio usano lo sport come “valvola di sfogo” per sottrarsi all’angoscia e alle cause di stress, non semplicemente per migliorare la linea. Il consiglio per tutti è dunque quello di cercare di praticare sport durante tutto l’arco della vita e di farlo per le giuste ragioni. Se ci si accorge di fare troppa attività perché abbiamo problemi ad accettare la nostra immagine, per cercare di eliminare forti fonti di stress oppure perché non siamo in grado di accettare i fallimenti, allora è necessario rivolgersi a dei seri professionisti che si prendano cura della nostra salute fisica e, soprattutto, mentale.

Lampade abbronzanti: se le conosci, sei più prudente
Ogni anno che passa sono sempre più i giovani che affidano la loro tintarella al sole artificiale delle lampade abbronzanti. Da uno studio svolto presso le East Tennessee State University risulta però che la maggior parte dei frequentatori dei “solarium” non conosce assolutamente i rischi connessi alla cosiddetta abbronzatura cittadina. Una informazione corretta e dettagliata sui rischi delle lampade, primo tra tutti il cancro alla pelle, potrebbe ridurre notevolmente il ricorso alla tintarella artificiale tra i giovani. Per confermare questa ipotesi, i ricercatori americani hanno seguito 147 studentesse che in media frequentavano i solarium 37 volte l’anno. Il numero di queste sedute rappresenta già un fattore di rischio per il tumore della pelle. Le ragazze sono state divise in due gruppi e alla prima metà è stato fornito un opuscolo informativo composto da 11 pagine sulle conseguenze dannose delle lampade abbronzanti, mentre la seconda metà non ha ricevuto nessuna informazione in merito. Dopo due mesi i ricercatori hanno intervistato le 147 ragazze sull’eventuale variazione delle visite nei centri d’abbronzatura e, come risultato, si è visto che il numero di sedute medie all’anno si era ridotto circa del 50% tra coloro che avevano ricevuto l’opuscolo. Nessuna variazione, invece, per le ragazze che non erano state informate sui rischi. Questo studio dimostra che ancora non c’è, tra i giovani, una informazione corretta sugli effetti secondari causati da una frequente esposizione alle lampade abbronzanti. Migliorare questa situazione può essere un valido contributo per la prevenzione di molte malattie dermatologiche e, soprattutto, per la lotta al tumore della pelle.

Ricette pazze dai giovani medici
I risultati di una ricerca condotta sugli ospedali americani rivela una brutta abitudine che anche qua da noi è molto diffusa: i giovani medici tendono a prescrivere farmaci a chi non è loro paziente. Anche se questo comportamento è ritenuto normale per i medici che hanno alle spalle anni di esperienza, non è né saggio né sicuro che i neo-laureati in medicina si prendano la responsabilità di curare persone di cui non conoscono la storia clinica. Dallo studio svolto negli Stati Uniti risulta che i farmaci più comunemente prescritti dai giovani medici sono per la maggior parte antibiotici, seguiti dagli antistaminici, dagli anti-infiammatori non steroidei (per esempio l’aspirina), dalla pillola anticoncezionale per finire con gli antidepressivi. Fortunatamente non sono inclusi nella lista i farmaci dei quali si può fare abuso, come i tranquillanti e i narcotici. Questo fenomeno in America è talmente diffuso che il 95% dei neo-laureati ha ammesso che in determinate circostanze è disposto a prescrivere farmaci a persone che non sono loro pazienti. Per esempio, il 95% è disposto a dare gli antibiotici al fratello che ha una sinusite acuta o al proprio figlio affetto da otite. Anche se solo il 15% prescriverebbe un anti-infiammatorio ad una persona conosciuta da poco affetta da dolore alla schiena, circa il 62% non esiterebbe a dare lo stesso farmaco al vicino di casa con la gotta, una forma dolorosa di artrite. Naturalmente questi dati non vanno generalizzati: non tutti i giovani medici hanno questa abitudine e molti di loro prescrivono farmaci in modo molto coscienzioso. Bisogna però fare in modo che questo fenomeno non si allarghi per evitare inutili rischi.

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