Quel mal di stagione che ci fa dormire di più

Sonno, spossatezza e malumore. Sono i sintomi della cosiddetta ‘Depressione invernale’, provocata soprattutto dalla mancanza di luce stagionale.

“E’ noto da tempo che, nei soggetti più sensibili, le brevi giornate invernali possono causare alcuni disturbi”, dice Fabrizio De Carli, ricercatore dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Cnr di Genova, “determinati dall’adattamento del ritmo circadiano (sonno-veglia) con il nuovo ciclo luce-buio e dalle conseguenti variazioni nella secrezione ormonale, in particolare di melatonina (che favorisce il sonno ed è inibita dalla luce) e di serotonina, che stimola la vigilanza”.
A distinguere da altre sindromi depressive questa patologia, clinicamente definita ‘disturbo affettivo stagionale’, sono per l’appunto il suo carattere stagionale (scompare in primavera), l’eccessivo bisogno di carboidrati, l’aumento di peso, l’affaticamento “e i disturbi del sonno legati all’ipersonnia”, aggiunge De Carli.
“L’aumento delle ore di sonno può andare da 1-2 ore in più del normale ma per alcune persone la necessità di dormire arriva fino alle 16 ore al giorno. Così come si può presentare anche uno spostamento di fase del sonno (ritardo nel tempo di addormentamento e di risveglio) oppure sonnolenza diurna”.

Dal momento che il fenomeno è legato alla durata del soleggiamento, esso risulta dipendente dalla latitudine, cioè cresce spostandosi dai tropici verso i poli. “Nella sua forma conclamata, alle nostre latitudini, questa sindrome ha una prevalenza variamente stimata tra il 2% e il 6%”, prosegue il ricercatore, “ma la percentuale sale di molto, 20-25%, se si considera anche una forma lieve (sub-sindromica) dove non si manifestano sintomi depressivi importanti ma si presentano principalmente incremento dell’appetito, affaticamento e disturbi del sonno”.
Cosa fare, allora, se riconosciamo in noi alcuni dei sintomi descritti? “Una terapia fortemente indicata ed efficace è l’esposizione alla luce ma solo se effettuata nelle prime ore del mattino”, suggerisce De Carli, “solo così, infatti, si induce un anticipo dei ritmi circadiani rimettendoli in fase con il normale ciclo di sonno-veglia. E se i nostri impegni lo permettono, possiamo anche accettare il ‘sacrificio’ di dormire qualche ora in più”.
(Fonte: Cnr)
Per saperne di più: Almanacco della Scienza

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