MetS, l’epidemia silenziosa della sindrome metabolica

Glicemia alta, valori moderati di ipertensione, bassi valori di colesterolo HDL, trigliceridi elevati e obesità triplicano il rischio di morte per cause cardiovascolari nella popolazione maschile anziana. A rilevarlo uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche, presentato a Roma.

Gli esperti la considerano la nuova epidemia di questo secolo, un’epidemia silenziosa dei paesi del benessere di cui ancora pochi sembrano esserne consapevoli, ma la sindrome metabolica (MetS) è una malattia comune, sottovalutata tra gli anziani di entrambi i sessi e grave, in quanto potenziale causa di morte per ictus e infarto. La conferma viene dallo studio italiano Ilsa (Italian Longitudinal Study on Aging) del Consiglio nazionale delle ricerche, condotto su un campione di 5.632 individui di età compresa tra i 65 e gli 84 anni, seguiti per 4 anni e scelti a caso tra la popolazione di otto Comuni italiani.
L’indagine rileva che la prevalenza di MetS è alta in generale nella popolazione invecchiata (31% nei maschi e 59% nelle femmine) e raggiunge tassi estremamente alti fra gli individui con il diabete (65% nei maschi e 82% nelle donne). La differenza tra sessi è determinata soprattutto da due componenti presenti nelle donne: obesità viscerale (75.2% contro 29.5%) e colesterolo HDL basso (56,5% contro 22,8%).
Le combinazioni più frequenti in uomini non diabetici sono l’obesità addominale, trigliceridi elevati e ipertensione, presente nel 21% degli individui, in uomini diabetici la stessa combinazione, più la iperglicemia, è presente nel 18%. Fra le donne non diabetiche la combinazione più frequente è l’obesità addominale, colesterolo basso HDL ed ipertensione, presente nel 32% di loro, mentre fra le donne diabetiche la combinazione più frequente è quella di tutte cinque le componenti, presente nel 36%.

Nell’arco dei quattro anni, gli uomini non diabetici con la sindrome metabolica hanno avuto un rischio di mortalità per malattie cardiovascolari 3,35 volte maggiore rispetto a quelli senza la sindrome metabolica, mentre nessuna differenza significativa è stata trovata nelle donne. In entrambi i sessi, però, il rischio di sviluppare diabete in questo arco di tempo è aumentato di 4 volte nei maschi e di 10 volte nelle femmine.
“L’alta prevalenza di sindrome metabolica nella popolazione anziana italiana rappresenta un problema socio-sanitario che merita un’attenta considerazione”. Ne è convinta Stefania Maggi, ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Padova che ha presentato a Roma – nel corso della terza conferenza della Società italiana per la prevenzione cardiovascolare – i risultati dello studio Ilsa.
Se oggi la sindrome metabolica colpisce un numero estremamente elevato di individui, come dimostrano i dati, ancora più nero è il futuro. Lo stile di vita dei soggetti più giovani non fa prevedere una inversione del trend negli anni futuri, al contrario diabete e obesità saranno i killer più spietati dei prossimi anni. Infatti già nei bambini si riscontrano frequentemente diabete e obesità, legati a scelte alimentari sbagliate e sedentarietà. “E in un paese come il nostro, che invecchia molto rapidamente, gli adulti di domani, senza correzioni di stili di vita, non saranno sani, ma a rischio di malattie invalidanti, quali appunto quelle cardiovascolari”, conclude Stefania Maggi. Quindi, individuare e trattare questa malattia può ridurre il rischio di disabilità e prevenire la perdita di autosufficienza nell’anziano, permettendo un risparmio in termini di spesa sanitaria pubblica e un miglioramento della qualità di vita della popolazione”.
Interessante notare, da un punto di vista storico, che la sindrome metabolica fu descritta per la prima volta nel 1965 dal Prof. Gaetano Crepaldi, attualmente responsabile della Sezione Invecchiamento del Cnr a Padova, dove questa ricerca è stata svolta.

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