Toglietemi tutto ma non la mia collezione

Il collezionismo esiste da sempre, riguarda qualunque oggetto, coinvolge le categorie più disparate. Non mancano per esempio i casi di pittori che furono appassionati raccoglitori di opere altrui: dall’olandese Rubens al connazionale Rembrandt (che amava catalogare nel suo studiolo anche “naturalia et mirabilia”), da Degas e Monet, entrambi possessori di pitture giapponesi, all’inventore della pop art Andy Warhol, che fu un raccoglitore seriale capace di mescolare paccottiglia e oggetti di pregio. Fino alla famosa raccolta di teschi e oggetti imbalsamati dell’artista inglese Damien Hirst, materiale di studio e fonte di ispirazione di molte opere che hanno proprio questo tema.

Un caso celeberrimo di bulimia collezionistica è quello del tenore Evan Gorga, vissuto a cavallo fra ‘800 e ‘900, che raccolse circa 180.000 reperti, stipandoli in dieci appartamenti presi in affitto nei pressi della sua abitazione capitolina. Quaranta manufatti di età preromana e imperiale hanno poi trovato una collocazione presso la presidenza del Consiglio nazionale delle ricerche tra il 1977 e il 1978: a questa collocazione è seguita una nuova sistemazione al Cnr nel 2014, come documenta il libro “Evan Gorga al Cnr, storia e immagini di una collezione” di Laura Ambrosini dell’Istituto di studi sul Mediterraneo antico del Cnr. Un altro bulimico accumulatore è Franco Venanti, cui la web tv del Cnr ha dedicato un documentario in cui il pittore perugino confessa e spiega questa mania e il suo rapporto con la propria produzione artistica dedicata in gran parte, non a caso, all’entropia.

C’è da chiedersi però cosa resti del fenomeno del collezionismo in una società dominata dalla dematerializzazione, dalla digitalizzazione, dal virtuale e dallo sharing. In fondo il telefono cellulare è la versione contemporanea della seicentesca Wunderkammer (Camera delle meraviglie) in cui stipare musica, letture, mappe, immagini e testi di qualsiasi genere. Un collezionismo che nulla ha a che vedere con l’esperienza sensoriale del possesso.

“Collezionare oggetti nasce come comportamento durante l’infanzia. Quando il bambino capisce che può trattenere alcune cose con sé, prova l’inebriante soddisfazione di controllare il mondo”, spiega Antonio Cerasa dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr. “Ricordate quanto fosse forte l’emozione, quando eravamo piccoli e tornavamo da scuola per chiuderci in camera e riprendere in mano la nostra “collezione”? Poter controllare gli oggetti chiusi nel loro spazio, al sicuro, per i bambini rappresenta una fase fondamentale e prepara, da adulti, a controllare gli eventi esterni e a ritrovare la ‘zona sicura’, come la definiscono gli psicologi clinici, in cui la persona ritrova serenità e pace, dove problemi, pensieri negativi ed ansie spariscono. Il collezionismo poi racchiude in sé la meravigliosa percezione della rimembranza, in cui il passato è associato a una data quanto a un oggetto”. Tipico caso, il souvenir turistico, al cui acquisto spesso viene dedicato più tempo che non alla visita del monumento originale e reale. Il giro di affari dei ricordini turistici ammonta in Italia a centinaia di milioni di euro l’anno, secondo un recente studio delle Camere di commercio: bigiotteria, articoli religiosi, chincaglierie moderne rimandano al pellegrino medievale con il suo sacchetto di reliquie o al viaggiatore del Grand Tour settecentesco con qualche veduta, capriccio o notturno sotto il braccio. Naturalmente, nella dimensione della società di massa e dei consumi.

C’è poi la raccolta di giocattoli – trenini, bambole, soldatini… – ma anche di conchiglie, fumetti e figurine che scatta dopo i 30 anni, con l’insorgere della nostalgia per l’infanzia. Delineare un identikit unico del collezionista è impossibile. Si pensi, ad esempio, al collezionismo paleontologico, forse il più estremo ed evocativo della memoria: un’occhiata alle piattaforme d’aste on line fa capire la portata del fenomeno. “Indefinibile anche il numero di persone che fa del collezionismo una pratica quotidiana. C’è chi parla di otto milioni in Italia, chi del doppio. Statistiche ufficiali non ne esistono, anche perché il fenomeno non coinvolge solo le persone che lo conducono continuativamente, ma quasi tutti noi in una specifica fase della vita”, continua Cerasa. “Collezionare, dal punto di vista cognitivo, significa manipolare, spostare, toccare, costruire una nuova combinazione o, più semplicemente, osservare. Un’attività, dunque, che coinvolge tutto il sistema dei sensi, sempre nel tentativo di imporre un ordine alle cose nello spazio”.

Il libro “Il magico potere del riordino” di Marie Kondo, dedicato a uno degli oggetti più collezionati al mondo, i vestiti, spiega come toccarli, maneggiarli, ordinarli per grandezza, forma e colore, produca calma e autostima. Chiaro quindi che il collezionismo spesso lambisce l’eccesso patologico. Si pensi alla maniacalità che spinge il ragioniere Ettore Ferro, tratteggiato da Andrea Camilleri, a collezionare “pezzetti di spago assolutamente inutilizzabili”; o al consigliere Pavel Ivanovic Cicikov che raccoglie le anime dei servi della gleba, narrato da Gogol. “In ambito psichiatrico il disturbo caratterizzato da un bisogno incontrollato di accumulare oggetti di cui non si ha nessun reale bisogno si chiama disposofobia”, conclude il ricercatore Cnr. “Le origini possono essere dovute a particolari eventi traumatici, che si manifestano con un forte stato di ansia placato dall’acquisizione di determinati oggetti. Nel collezionismo non compulsivo vige l’ordine, mentre nella patologia è il caos a farla da padrona”.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
Per saperne di più: Almanacco della Scienza

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