Immagine Counseling psicologico

risponde il dr. Vincenzo Masini

seconda parte - 2.6.4. Storie di tipi

L'invisibile sfiduciato

Marco 36 mesi. Solitario, non partecipa quasi mai attivamente, resta ai margini a osservare. Il suo modo di camminare è particolare, dà l'idea dell'ombra, non lo si nota. Non chiede mai, ti guarda di nascosto e se ad esempio hai una caramella cerca di rubarla mentre sei distratto. Non risponde alle richieste di gioco degli altri, svicola. É difficile interagire con lui, la tenerezza lo disorienta, arrossisce addirittura. Si vergogna di tutto quello che fa, anche della pipi, della cacca, guarda altrove, non è roba sua. Si riesce a farsi ascoltare da lui solo dandogli l'impressione che non possa farne a meno, non permettendogli di distrarsi e scappare e dandogli la sensazione che si è sicuri che lui riesca a fare quello che gli si chiede. In effetti ci riesce, ed allora ecco che sorride, finalmente soddisfatto. É l'ultimo di 5 fratelli molto più grandi di lui. Nella sua famiglia nessuno ha il tempo di occuparsi della sua infanzia, sono tutti presi da altri tipi di impegni, compressi i genitori che lavorano fuori casa tutto il giorno. É costretto a confrontarsi continuamente con giochi e capacità non adatte alla sua età per cui ha sviluppato un forte senso di insufficienza. Non gli si è concesso di essere piccolo.
Chiara, 2 anni, secondogenita con una sorella maggiore di 7 anni. Maria, la primogenita, è una bambina molto estroversa che possiede la capacità di rendersi simpatica e di mostrarsi intraprendente, al punto di comparire in un programma televisivo per bambini riscuotendo un buon successo. Chiara subisce l'invadenza della sorella e tende a ritirarsi ed isolarsi. La mamma la richiama di frequente e le dedica molto tempo ed attenzione, ma non coglie il fatto che Chiara si senta seconda in tutto rispetto a Maria. Quando in casa o tra gli amici della famiglia qualcuno mostra una forte personalità e galvanizza l'attenzione di tutti su di sé, Chiara si nasconde e, con aria spaventata, cerca di non farsi vedere, pur se curiosa ed interessata. Ho riconosciuto Chiara osservandola mentre tenevo una riunione. Era seduta in prima fila, in braccio alla mamma, e mi guardava curiosa mentre parlavo ma, al termine dell'incontro quando ho cercato di accarezzarla si è girata verso la madre mettendosi a piangere per la paura che potessi toccarla. Successivamente ho saputo dalla madre che non era sempre particolarmente timida ma si mostrava tale solo in talune occasioni quando erano presenti ospiti o amici di famiglia. Ho consigliato alla madre di osservarla di nascosto, mentre era sola con la sorella ed ella mi ha confidato che era stata molto colpita dal fatto di scoprirla cocciuta e testarda nel rifiutare di giocare con la sorella, per diventare però arrendevole tutte le volte che la sorella si avvicinava ai suoi giochi. All'arrivo della sorella, Chiara lasciava i giochi e correva a cercare la madre. "Ma se non le ho fatto niente!" rispondeva Maria interpellata.
Il divario di possibilità tra Chiara e Maria è talmente grande che Chiara non prova nemmeno a resistere quando la vicinanza è stretta. La madre di Chiara spiega di aver sempre badato a distribuire il suo affetto in maniera equilibrata tra l'una e l'altra e di aver fatto attenzione a che non si manifestassero disuguaglianze. Ma nella percezione di Chiara non è così: la sorella maggiore ha sempre occupato saldamente una posizione dominante e determinante e lei non si è mai sentita di "essere tutto" per la madre. Una bimba non possiede sistemi di pensiero così articolati e complessi da accettare di essere nata per seconda all'interno del sistema famigliare. Ciascun essere umano ha bisogno di sentirsi "tutto" all'interno del rapporto con la madre, per potersi poi sentire completo nel rapporto con se stesso e con gli altri. Maria sa di essere stata questo "tutto" ed ha avvertito l'attenzione della madre nel non farla ingelosire al momento della nascita della sorella.
La prima proposta di artigianato educativo è stata quella di differenziare l'una dall'altra anche tenendole lontane. Per Chiara è infatti necessario un percorso di maggior individuazione al fine di sentirsi più grande e capace, senza dover costantemente sostenere il confronto con la sorella. L'allontanamento l'una dall'altra, in concomitanza con l'inizio dell'anno scolastico ed utilizzando il tempo prolungato per Maria, produce in loro un reciproco desiderio di incontro alla sera. Nelle discussioni di gruppo viene proposto ai genitori un costante scambio di ruoli per riuscire a tenere in relazione le due figlie: non appena una figlia richiede qualcosa ad uno, l'altro si mette immediatamente in sintonia con l'altra. È necessario infatti limitare la prepotenza di Maria, rendendola più equilibrata e generosa, e fortificare Chiara che altrimenti rischia di entrare in un copione da invisibile, gratificandola nei suoi piccoli successi. I primi risultati appaiono da lì a poco: Chiara inizia ad esprimersi con energia, esprime un gusto personale nel vestirsi, reagisce alla sorella imponendole giochi di suo piacimento e accetta di partecipare ad una recita nella sua scuola materna.
Arturo, 25 anni, figlio unico. I suoi genitori hanno acquistato un negozio di generi alimentari per offrirgli una possibilità di lavoro, giacché non ha portato a termine gli studi, né è riuscito ad inserirsi in altre attività lavorative. Il negozio è ben avviato ed egli approfitta della disponibilità di lavoro dei genitori per incontrare gli amici con cui staziona quasi tutto il giorno sul muretto di fronte al negozio. Si vergogna di gestire il negozio e prova una feroce invidia verso chi è riuscito ad avere una immagine sociale più brillante. Non si mette però in competizione e preferisce gestire con falsità i suoi rapporti. La sua invidia è nascosta ed egli non la ammette nemmeno a se stesso, preferendo criticare anche ferocemente tutte le persone che gli sembrano superiori a lui. La sua occupazione preferita è fare pettegolezzi, mettendo in cattiva luce le stesse persone con cui, fino all'attimo prima, sorrideva e scherzava. Arturo è falso e bugiardo con gli altri per mascherarsi e trovare giustificazioni per una vita che conduce senza esserne contento. Attribuisce la sua condizione ad una serie di ingiustizie subite a scuola e sul lavoro, del tutto inventate, che, però, continua a raccontare come se fossero vere, fino al punto da crederci lui stesso.
Arturo ha scoperto all'età di 14 anni di essere un bambino adottato e, da allora, ha cominciato a detestare i genitori adottivi. Quella scoperta ha trasformato la sua sensazione di insufficienza, derivata dal trauma per essere stato abbandonato da parte dei suoi genitori naturali, in risentimento aperto verso gli altri. L'ingiustizia subita è il pretesto per sprigionare la sua sottile aggressività verso tutti. La falsità diventa un costume che gli consente di mascherare i suoi sentimenti di inferiorità e la sua invidia aggressiva. Il percorso di artigianato educativo, a cui Arturo viene casualmente introdotto, inizia con la frequentazione di un gruppo di preghiera presso la sua parrocchia. Sarà una ragazza a condurlo lì ed a proporgli una disciplina di incontri e di preghiera metodici. Anche gli incontri di discussione lo inizieranno a condurre verso la riconciliazione con il lavoro, l'amore e gli obblighi verso la comunità.
G.P. 38 anni. Proviene da una famiglia che lo ha sempre sminuito e squalificato perché il più piccolo di tre fratelli. Ogni volta che esprimeva l'intenzione di realizzare qualche progetto, si sentiva immancabilmente affermare :"Non so se ci riuscirai (...) non so se ci sei portato (...) non so se sei capace (...) comunque, fa come vuoi...". Al termine della scuola secondaria superiore decide di iscriversi all'università ed i genitori gli dicono esplicitamente: "Tu non riuscirai a fare l'università perché hai poca volontà e determinazione. Come puoi pensare di riuscire visto che trascorri le tue giornate a non far nulla per renderti utile? Comunque fai come vuoi". G.P. interrompe gli studi dopo tre anni e con soli 3 esami sostenuti, per iniziare una attività come rappresentante. Nel frattempo aveva già ripetutamente affogato nell'alcol la sua invidia nei confronti dei fratelli che stavano riuscendo bene negli studi, nello sport, con le ragazze. L'attività di rappresentante lo porta lontano da casa ed egli, per la prima volta, trova fiducia in se stesso riuscendo bene nel suo lavoro. L'attività di rappresentante lo costringe ad una disciplina ripetitiva ed efficace: ogni volta si presenta con lo stesso frasario, le stesse battute e con argomenti circoscritti ai soli farmaci che propaganda ma su cui ha una ferratissima preparazione. Ha anche imparato a svicolare da discorsi che lo portano a temi su cui non è preparato attraverso la tecnica della battuta o della barzelletta, imparata nel periodo di formazione aziendale. Continua però a bere in maniera eccessiva fino a quando, consultato il medico per problemi epatici, fa una cura disintossicante e prende un periodo di vacanza. In quell'occasione conosce la sua futura moglie con cui vivrà in serenità per otto anni. Una sua ricaduta nell'alcol dopo tanto tempo gli sarà fatale. Entrerà immediatamente in uno stato di intossicazione acuta, si chiuderà nei suoi sogni senza più uscire da casa e morirà, qualche mese dopo, a causa di una lesione cerebrale.
Bruno, 36 anni, orfano di madre. Il padre si risposa dopo 10 anni, vissuti da Bruno nella solitudine. Inizia la sua vita da emarginato quando, a 16 anni, se ne va da casa nell'indifferenza dei suoi genitori che, dopo qualche discussione, non si danno eccessiva pena per la sua scelta, occupati come sono a star dietro ai suoi tre fratelli nati nel nuovo matrimonio. Inizia così il suo vagabondare e si mantiene con piccoli lavori qua e là: vende accendini ai semafori, fa il garzone in un bar, abita da amici e, per qualche tempo, in un istituto. Inizia a bere alcolici ed ad usare stupefacenti. Ricoverato in ospedale per denutrizione ed acuta intossicazione viene avviato in comunità; vi resterà a lungo crescendovi fino all'età di 26 anni. In comunità incontra Wilma., ex tossicodipendente, della sua stessa età e, contro il parere degli operatori, lascerà con lei la comunità. Vivranno a casa dei genitori di Wilma, che si presenta finalmente una famiglia per Bruno. I genitori li aiuteranno a trovare lavoro ed ad organizzarsi la vita fino a quando si sposeranno. La nascita di un figlio rappresenta per Bruno un tracollo psicologico: la mancanza delle attenzioni precedentemente ricevute dalla moglie e dai suoceri, il peso della responsabilità e la sensazione di inettitudine che non lo lascia mai, lo porteranno a ricominciare a bere. Verrà poi scoperto mentre si buca dal suocero e, pieno di vergogna, fuggirà dalla sua nuova casa. Di nuovo vagabondo, dorme dentro auto abbandonate fino a quando, rintracciato da un amico, viene convinto a rientrare in comunità. Inizia una deprimente odissea di fughe e reingressi: per 5 volte entra e, quando viene chiamato ad assumersi responsabilità, anche le più piccole, per 5 volte fugge nell'arco di tre anni. Nel frattempo la moglie decide di lasciarlo ed intraprende una relazione con un altro giovane. Bruno è ancora una volta completamente solo; incontra la moglie ed il figlio e si nasconde per non farsi riconoscere. Si vergogna. Nel raccontare l'episodio dice "l'ho subito perdonata perché aveva perfettamente ragione". Dopo quell'incontro inizia però il suo vero cammino di ricostruzione. Si presenta in una piccola comunità e viene accolto. Li si integra efficacemente nel clima sociale e progressivamente ricopre responsabilità anche importanti, attraverso queste sue attività, che riguardano le relazioni con l'esterno, riesce a far crescere l'importanza della comunità dove vive. Si accende in lui lo spirito di concorrenza con le altre comunità, affinché la "sua" si affermi maggiormente. Dichiara apertamente la voglia di rivalsa e incalza il lavoro di tutti per migliorare. La sua tensione creativa è oggetto di discussione tra i responsabili ma non viene contrastata sia per la qualità del lavoro svolto, sia perché, attraverso questo impegno, Bruno sta trovando stima di sé. Gli viene però proposto di esercitare una attenta e continua riflessione sulle sue motivazioni per ribaltare criticamente le radici dei suoi meccanismi competitivi. Scopre che la vera motivazione non sta nella voglia di vincere una competizione, quanto nella scoperta del gusto di competere.Fine seconda ed ultima parte

Web: Prevenire è possibile



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