
Counseling psicologico
risponde il dr. Vincenzo Masini
L'invisibile sfiduciato
"Salve, le scrivo perché sono preoccupato per una mia amica, ha dei problemi e non vuole fare niente per farseli passare, così ho pensato di aiutarla chiedendo consiglio a lei. Il suo problema è il seguente: frequenta l'università e gli esami per lei sono un ostacolo grandissimo. Lei ha molte capacità, è intelligente, potrebbe fare quello che vuole, ma non ha nessuna fiducia in se stessa, si sente un incapace. Molte volte m'ha chiesto di aiutarla, e ogni volta che passa un esame dà tutto il merito a me e nessuno a se stessa (ma non penso che il non aiutarla e lasciarle passare gli esami da sola sia una buona idea, ho letto che il pessimismo induce anche in caso di successo ad esaltare comunque le circostanze favorevoli, dando al limite il merito al caso). Ogni volta che si avvicina un esame poi è la stessa storia, le prende intanto una grande ansia, va in crisi, non può fare a meno dell'aiuto degli altri, e a volte le prendono crisi di pianto. Si sta rovinando la vita per problemi che non ha, vorrei tanto poterla aiutare. Ho cercato di documentarmi, ho letto che il pessimismo e la mancanza di fiducia in se si possono curare, ma come? E poi è necessario conoscere le cause che l'hanno provocati per aiutarla? Ah, m'ha raccontato che tutto questo le è cominciato dopo l'università, alle superiori non aveva alcun problema, anzi, per lei tutto era facile. Se mi rispondesse mi farebbe veramente un gran favore, non so più che fare per lei, non sembra ma si sta veramente rovinando la vita, non posso più vederla così".
Ero dapprima mosso a risponderle con semplicità poi ho riletto la sua lettera e mi sono accorto che lei vuol capire di più. Dunque le propongo ben sette pagine, tratte dal mio libro "Dalle emozioni ai sentimenti", dove sono descritte le caratteristiche ed i bisogni di persone come la sua amica ed anche quanto si può fare per loro (in primo luogo far leggere tali pagine). Vincenzo Masini
(N.d.R.: il testo che segue ha una lunghezza insolita per una pagina web. Nel rispetto delle esigenze dell'autore, e soprattutto con la certezza che possa essere utile ai nostri lettori, non esitiamo a proporvelo. Per una più comoda lettura, potete stamparlo e leggerlo off line).
" 2.6.1. L'Invisibile sfiduciato
La vergogna non è sempre compresa nei cataloghi delle emozioni di base ed i suoi attributi vengono inseriti nella poco esplicativa categoria di tristezza. La vergogna corrisponde al movimento del ritrarsi e scomparire ed è una delle due possibili reazioni di fronte al dolore. La prima, la paura, contiene i dispositivi di difesa e di scudo contro il pericolo del dolore, la vergogna invece si esprime nel ripiegamento e nell'assorbimento del dolore fino a farlo diventare interno al sé. Nella vergogna è implicita l'azione di nascondersi alla vista di altri e di nascondere il peso della personale afflizione anche a se stessi.
Sono riconducibili alla vergogna tutte le emozioni che sono contraddistinte da un senso di inferiorità del soggetto nei confronti degli altri e nei confronti del mondo. Tal senso di inferiorità è anche attivo nel rapporto che il soggetto ha con se stesso. Se infatti il senso di inferiorità (con cui il soggetto si rapporta al mondo) viene introiettato all'interno del suo sé, si disegna un'ombra dietro la quale si nasconde sempre un senso di insufficienza costantemente avvertito dal soggetto.
Le componenti della famiglia di emozioni che si raggruppano intorno all'emozione di base della vergogna si addensano nelle dimensioni della mancanza di stima di sé, della sopravvalutazione degli altri e dell'eccesso di sensibilità per i vissuti personali e per i vissuti degli altri: la sensibilità, l'accoramento, l'infelicità, l'abbattimento, il dispiacere, l'afflizione, l'essere addolorato, la costernazione, lo sconforto, la compassione, la pietà, la capacità di sostegno degli altri, il prendere a cuore le sofferenze altrui, la timidezza, l'impaccio, l'imbarazzo, l'impressionabilità, l'inibizione, la soggezione, l'oppressione, l'umiltà, il disprezzo di sé, l'onta, il disonore, l'umiliazione, lo spavento, il pavore, il terrore, l'orrore, il panico, la fobia, la sfiducia, l'invidia, la gelosia. Quando la mancanza di stima di sé giunge a livelli di insopportabilità per il soggetto essa può trasmutarsi aprendolo verso gli altri alla ricerca di aiuto ed appoggio. Del resto la sua sensibilità lo induce ad una apertura al vissuto emozionale degli altri, che comprende con facilità e che sostiene nelle situazioni difficili proprio perché riconosce la propria sofferenza in quella altrui.
Si intende comunemente per vergogna una emozione che va dall'imbarazzo, al pudore, all'inizibizione. Il primo passo per comprendere il movimento dell'io denominato vergogna è immedesimarsi nel momento in cui si comprende di "stare facendo una brutta figura". In tali occasioni siamo presi dal desiderio di scomparire, di sprofondare, di nascondersi e di diventare invisibili. Ma non tutti coloro che "fanno una brutta figura" precipitano in una inibizione acuta e dolorosa; alcuni reagiscono con sfrontatezza, con arroganza, con ilarità, con indifferenza, con autocontrollo o con autocommiserazione (ciascuna di queste modalità è tipica di ciascun copione, come è facilmente intuibile). L'invisibile invece si curva su di sé, non avanza alcun movimento di difesa e subisce il peso della vergogna. Peso che lo schiaccia e lo inibisce ancor di più.
È probabile che l'emozione della vergogna prenda forma intorno ai sei mesi, periodo in cui si è soliti individuare il momento più critico della differenziazione del bimbo dalla madre. Nel cercare di individuare il significato della vergogna come fenomeno emozionale umano, diffuso e univoco, abbiamo la necessità di interpretarlo nelle sue due principali componenti.
La prima è il forte coinvolgimento nelle emozioni condivise con altri. Al contrario dell'indifferenza (dell'apatico) che vige nel tenere gli eventi ad una buona distanza dal sé, e cioè non consente loro di diventare "oggetto" dell'attenzione ma, semplicemente, li scioglie dentro i vissuti, la sensibilità di fronte agli accadimenti relazionali li rende oggetti fortemente presenti con aperta consapevolezza di loro. Il soggetto sensibile manifesta una diretta inclusione di se stesso nelle emozioni che sprigionano dai rapporti. Percepisce ciò che vive, ne è partecipe e lo oggettiva immediatamente. Ciò che sente è oggettivo per sé e per l'altro ed egli è assolutamente trasparente allo sguardo estraneo. Il soggetto si sente nudo, disarmato e vulnerabile e lo è perché è tenero, senza scorza e senza maschere, dunque riceve ogni emozione come un colpo forte ed intenso. Anche un complimento lo imbarazza e lo spinge a ritrarsi nella verecondia, nel diventare schivo e peritante. Il vocabolo bashfull designa nella lingua inglese il timido come un soggetto "pieno di colpi".
La seconda componente è quella della comparazione tra il sé e gli altri. La sua radice, che è il "sentirsi meno di", può essere individuata nel momento in cui il bambino, uscito dalla fusione con la madre, scopre che a fianco della madre esistono altre persone: il padre, i fratelli o altre figure che occupano uno spazio accanto ad essa. Questa secondo aspetto coniuga la separazione dalla madre con la scoperta di essere meno, solo una parte tra le altre. Non è necessario essere stati oggetto di esplicita squalifica (il disgusto altrui), che indubbiamente rafforza e rende drammatico l'accertamento dei propri limiti, per sperimentare il lato più oscuro della vergogna, è sufficiente che l'età dell'oro (la fusionalità) si scomponga in più parti e che il soggetto senta la sua partecipazione insignificante e per ciò si percepisca ridotto e sminuito. Se il suo precedente percorso di accertamento del sé non è stato gestito con sufficiente affettività da una madre avara o apatica, o comunque troppo superficiale per la forte sensibilità di quel bambino, a lui non sarà dato di viversi compiutamente e con fiducia. Tutte le parti del sé, corporeo e psichico, del bambino hanno bisogno di essere riempite dall'affettività affinché egli le possa conoscere ed accettare.
Quanto più il processo è incompiuto, almeno nella sue istanze fondamentali (la bocca, la pancia, la digestione, il respiro, la testa, l'udito, il fiuto, il tatto, il posto, la protezione, le routine, le abitudini, la confidenza, la sicurezza,...), tanto più la scoperta di non essere "tutto" conduce a non sentirsi completi e sufficienti. Il copione della vergogna è legato alla bassa stima di sé; proprio perché non si stima, non si accetta abbastanza e non si ama, l'invisibile si espone alla sopportazione ed alla sofferenza: è convinto di meritarsela.
L'emozione dello scomparire ripiegando su di sé è, contemporaneamente, processo di assorbimento di dolore nel sé e sbriciolamento del sé per far passare il dolore. Meno emerge il sé, meno è consistente il luogo in cui si ascolta il dolore. L'invisibile ha grande capacità di sopportazione del dolore, egli ne è permeabile e si lascia trapassare per le basse difese e per la scarsa consistenza del sé. Valuta talmente poco se stesso che non attribuisce grande importanza nemmeno al dolore acuto, da cui si lascia trafiggere senza rifiutarlo, evitando così la metabolizzazione del dolore in sofferenza.
2.6.2. Il disagio dell'invisibile
L'invisibile prova un profondo senso di disistima e sfiducia di se stesso. Non si sente mai "abbastanza" e tutti sono sempre migliori di lui e tutto ciò che fa è sempre meno bello e importante di quanto fanno gli altri. Quando riesce in qualcosa è solito attribuire il suo successo alla fortuna e non alla sua preparazione. Non perde occasione nel farsi autogoal, ovvero nel mostrarsi agli altri inferiore, inadeguato, incapace o imbarazzato.
L'invisibile vive le diverse atmosfere ed i climi sociali con una sensibilità sfibrante, aggravata dalle sue difficoltà comunicative. Non riferisce ad altri quanto vive, nella convinzione che gli altri non darebbero pso e credito alle sue sensazioni ed ai suoi pensieri, inconsistenti e banali per come essi sono, secondo lui.
Vive una forte chiusura introversiva ed è attento a non mostrare nulla di sé nel timore di essere svelato e giudicato. Non è a mai a suo agio ed addirittura soffre quando è obbligato ad improvvisare le sue reazioni. Ha bisogno di tempo per prepararsi ad ogni incontro per la vergogna di essere scoperto per quello che è. Per questo motivo tende a ritrarsi dalle conoscenze e dalle relazioni, anche se non ama la solitudine. La sua solitudine è una conseguenza della sua fuga; piuttosto di agire si nasconde ed osserva, ammira ed invidia coloro che sono in grado di comportarsi in modo socialmente adeguato.
L'invisibile non cura molto il suo aspetto fisico, in parte per sottovalutazione di sé, in parte perché spera di passare inosservato. Non indosserà mai nulla capace di attirare l'attenzione e, anche se desidera più di ogni altra cosa l'essere riconosciuto ed accettato per quello che è, cerca di non far trasparire nulla di autentico.
La sua vergogna lo porta all'inibizione, al pavore, al pudore ed alla sua continua autoesclusione dalle situazioni che possono provocargli imbarazzo.
Non ama mostrare i suoi sentimenti perché pensa che siano fuori luogo, fuori tempo, scontati. A lui piacerebbe moltissimo poterli esprimere e donare finalmente a qualcuno, ma si autoconvince che non sarebbero capiti ed accettati.
Non è in grado di accumulare energia e motivazioni perché è abituato a sminuzzarsi per timore di occupare troppo spazio; anche i suoi sentimenti debbono essere sempre deboli e non visibili. Non riesce ad arrabbiarsi perché l'ira è una emozione troppo consistente perché possa albergare nel suo sé.
Una caratteristiche del movimento dell'io della vergogna è quella di crescere di intensità: una persona che si vergogna, si vergogna anche di vergognarsi. La crescita dell'emozione è un progressivo avvitamento nel movimento dell'io. L'avvitamento è la via dell'invisibile per diventare ancora più invisibile fino a cercare di scomparire del tutto, soprattutto di scomparire dalla percezione di sé.
La sua è la storia di chi è stato bersaglio di sfiducia ricevuta in precedenza come quel bambino che viene posto a confronto con il fratello maggiore: "Hai visto quanto è bravo tuo fratello a scuola, come riesce bene nello sport, come rimane subito simpatico alle persone!". Tale paragone, che non è necessariamente una squalifica, ma solo un confronto (magari davvero oggettivo), condiziona le sue effettive possibilità di riuscita nel raggiungere risultati. Egli sente di essere sconfitto in partenza ed abbandona ogni confronto a meno che non venga incoraggiato con rinforzi multipli. L'incoraggiamento e l'impalcatura di sostegno (scaffolding) serve a rendere possibile l'impegno e la disposizione fiduciosa.
Senza sostegno anche con forte direttività l'invisibile evita il confronto e non si mette alla prova: senza prove e senza successi effettivi ed oggettivi non cresce la stima di sé. La via di uscita dalla bassa autostima è quella di ottenere risultati attraverso la metodicità e la disciplina, che costituiscono il vero antidoto per l'invisibile.
Un aspetto non secondario del complesso di inferiorità è il suo ciclico accompagnarsi ad senso di superiorità tutto interno e non oggettivato nelle cose. Se dal confronto con la realtà l'invisibile esce perdente e sconfitto accade che dentro di sé inneschi una valutazione compensativa di superiorità incompresa da altri, inspiegabile ed ancorata su uno schema di valutazione del merito completamente intimista e, di conseguenza, assolutamente ineffabile. Gli altri vincono il confronto e sono oggettivamente migliori di lui ma non possiedono qualcosa che egli ha dentro, nemmeno arrivano a sfiorare la comprensione del suo mondo interiore, della sua sensibilità e impressionabilità. Naturalmente queste doti non gli servono mai per realizzare qualcosa di concreto e sono da considerarsi difetti anche se egli sente di essere inspiegabilmente superiore proprio per quelle caratteristiche che lo rendono inferiore. Questo ragionamento è la trama di un copione bipolare tra invisibile e delirante mediante oscillazioni tutte interne al sé tra inferiorità e superiorità che rimangono sempre inverificabili. A fronte di queste possibili oscillazioni interne può essere utile accompagnare al sostegno comparazioni con altri, dalle quali l'invisibile possa emergere positivamente. L'incoraggiamento all'invisibile può essere formulato mediante: "Vedrai che ci riuscirai, perché sei una persona in gamba e non commetterai gli stessi errori di...(figlio di amici, lontano parente sconosciuto, personaggio di un telefilm visto insieme)". E' infatti indispensabile che le comparazioni avvengano con persone lontane, non confrontabile nell'esperienza quotidina, per due ragioni: l'invisibile non deve avere mezzi per compararsi con loro al negativo ("Si, è vero, ma lui non ce l'ha fatta per sfortuna, io non ci riesco per colpa mia!"), cosa che accadrebbe se tali soggetti fossero appartenenti al suo mondo della vita. Debbono però essere persone concrete e non soggetti astratti su cui operare generalizzazioni del tipo: "Ce l'hanno fatta tutti, dunque ce la puoi fare anche tu!". La seconda ragione è che l'invisibile non deve essere mai incanalato nella direzione dell'invidia o della gelosia, che sono una polarizzazione su un altro corno del suo copione.
Qualora l'invisibile non si metta in gioco e perpetui l'avvitamento su di sé egli si dispone alla oppressione psicologica da parte di altri. Se vale poco (o se il suo pur alto valore è inutile, inespresso e dunque inesistente) l'unica via per essere accettato è quella della umile e servizievole disponibilità, la quale ovviamente lo dispone ad essere schiacciato e oppresso da soggetti poco attenti e rispettosi, se non addirittura inquisitori e prepotenti. Ora, se l'invisibile si è aperto e si è affettivamente attaccato a qualcuno che, non comprendendo la profondità del suo sentire, lo calpesta e lo violenta, può diventare pericoloso e tagliente per non essere messo del tutto fuori gioco.
La sua incapacità di scendere in lizza per la aperta difesa di sé lo tormenta con invidia e gelosia. Invidia e gelosia sono copioni complessi il cui motore è l'oscillazione tra inferiorità e superiorità e la moltiplica è il risentimento ruminante verso qualcuno che non è possibile vivere come oggetto di amore e attaccamento. Le sue energie attivate dall'invidia (non avere qualcosa che altri hanno) e dalla gelosia (temere di perdere qualcosa che si ha) aprono verso gli aspetti più negativi dell'invisibile: la falsità, le maschere, le insidie mediante istigazione e le strategie di aggressività dissimulate.
E' questa la prima occasione in cui viene descritto un copione multiplo che si costruisce in termine ancora abbastanza semplici e comprensibili. I copioni della gelosia e dell'invidia sono infatti abbastanza diffusi da rendere possibile una discussione sulla loro genesi mediante alcune semplici pennellate discorsive, senza pretendere di entrare in profondità in tali pieghe della psiche. I copioni multipli sono alle spalle di vere e proprie patologie che necessitano di comprensione e di interventi molto più accurati, di tipi psicoterapeutico, rispetto all'artigianato educativo. Prendiamo il caso dell'alcoolismo (l'alcool è la sostanza elettiva per l'invisibile che trova in esso sia disinibizione iniziale che dissolvimento dell'io nella cronicizzazione): tale copione multiplo di dipendenza è organizzato a partire dalla oscillazione bassa/alta autostima, dalla componente depressiva del ruminante, dall'attaccamento ad una sostanza vicariante fino al bisogno di autoanestetizzarsi dalla angoscia del futuro. Allo stesso modo procedono dalla bassa autostima molti copioni multipli quali il disturbo di attaccamento di tipo inibito, i disturbi di tipo autistico, il disturbo evitante di personalità, le fobie specifiche, la fobia sociale, la agorafobia, le ipocondrie, i disturbi di balbuzie e dei disturbi da incubi. Due riflessioni possono meglio rendere comprensibile il rapporto tra l'avvitamento nella vergogna introversa, l'autismo e fobie.
L'autismo è il ritiro dal mondo e la chiusura nel pensiero endogeno da parte di un soggetto chiuso in sé stesso, riservato, che indietreggia di fronte ad ogni contatto con la vita, introverso. Nel pensiero autistico la realtà perde di importanza ed il soggetto diventa incapace di volgere le sue attenzioni verso il mondo. E' totalmente compreso dalle sue sensazioni e dai suoi ragionamenti pseudofilosofici.
Le fobie rimandano alla struttura mentale ed emozionale dell'invisibile ma su un piano diverso. La vulnerabilità agli insulti fisici e psichici è causata dal fatto che l'invisibile li lascia entrare in profondità; non ha difese perché la scarsa autostima gli dichiara che non v'é nulla di importante da difendere nell'io. A seguito degli insulti l'invisibile si sente sporco e contaminato, reagendo con sintomi psicosomatici. La sua pelle cerca di buttar fuori attraverso i pori il dolore e gli insulti assorbiti manifestando allergie verso le situazioni, le persone e le sostanze che sono connesse all'assorbimento. Possono però darsi situazioni psicologiche nelle quali anche la somatizzazione è vietata dall'inibizione. Sono queste le situazioni di copioni multipli determinate da la compresenza di copioni di piacere/angoscia e copioni di paura/ossessione. Il soggetto diventa fobico perché non riesce a desensibilizzarsi contro gli eventi diventati del tutto interni al sé. Non può nemmeno difendersi con ulteriore invisibilità, perché le immagini, gli eventi, le persone, gli animali, le situazioni che lo hanno penetrato sono del tutto connesse con il sé. Egli è ormai tutt'uno con le cause del suo malessere; la reazione di difesa è dunque quella di evitare gli oggetti che per analogia lo portano in contatto con il suo dolore. Il copione può divenire ancora più complesso quando, per coprire le fobie, il soggetto innesca rituali ossessivi di evitamento.
Il fatto di elencare tali patologie ha un doppio scopo: possono servire a comprendere più in profondità la struttura psichica dell'invisibile e le personalità a cui può dar luogo, consentono inoltre, per educatori impegnati in strutture riabilitative ad accompagnare la psicoterapia con un armonico e congruente intervento educativo che, nel caso dell'invisibile, ruota tutto intorno alle diverse modulazioni della disciplina.
2.6.3. Le risorse dell'invisibile
L'incapacità dell'invisibile di costruirsi difese ha accresciuto la sua capacità nel percepire il vissuto altrui, specialmente i vissuti di sofferenza. L'invisibile ha una grande capacità di sopportazione del dolore e della sofferenza: paradossalmente in ragione della sua sensibilità. Egli non frappone alcuna barriera tra sé e il dolore, lo incamera e si lascia annientare senza sfogarsi nemmeno con un gemito.
Il dolore inizialmente lo schiaccia, poi lo depotenzia, gli toglie energie e lo rende quasi evanescente. Ma lentamente scompare e lo lascia con una esperienza che lo spinge a fare qualcosa per gli altri; la sua sensibilità si può così riaprire all'esterno con lo scopo di sollevare, al momento giusto e all'altezza giusta, chi sta vivendo una sofferenza.
Un aspetto estremamente interessante dell'invisibile è lo sviluppo della capacità di coglimento empatico acuta al punto da riconosce la sofferenza altrui anche quando è nascosta o mascherata. La sua efficacia nel sollevare gli altri è amplificata dal fatto di riconoscere le pene altrui, anche non espresse; l'altro si sente così riconosciuto, compreso e degnato di attenzione.
Il rapporto di aiuto di cui l'invisibile è capace si fonda sulla realizzazione di due importanti valori: l'umiltà e la condivisione.
Umiltà in ragione della concretezza a cui l'invisibile fa sempre riferimento: parte dalla terra, dal dolore, dalle difficoltà, dalla fatica per giungere ad una sensibilità quasi sensitiva; condivisione perché riesce ad immagazzinare informazioni sugli altri con grande capacità di ascolto e grande memoria. Non può esistere condivisione di qualcosa se i soggetti che condividono non sono certi che l'altro sappia bene cosa si sta condividendo. E' indispensabile far comprendere a chi è in difficoltà la propria profonda consapevolezza della difficoltà medesima. E ciò con informazioni e riferimenti concreti, tratti dalla osservazione e dalla memoria. L'invisibile è appunto un grande osservatore capace di accumulare informazioni e, per di più, riesce a farlo senza essere visto. Se l'uso di ciò che sa diventa servizio agli altri l'invisibile riuscirà, mediante la condivisione umile, a provare soddisfazione per se stesso nell'aiutare l'altrui sofferenza. Ma l'oggettiva stima di sé deriva solo dal rapporto con qualcuno che sappia comprendere il suo sentire, sappia incoraggiarlo nella azione, verificare con l'oggettività delle sue capacità e mostragli i suoi meriti, le sue virtù. Spesso gli invisibili sono i martiri che consentono con la loro sofferenza agli altri di vivere ma la svalutazione si ribalta solo con l'aiuto di qualcuno che li premia come eroi della sofferenza, li conduce a scoprire il loro personale valore ed ad iniziare a valutarsi positivamente.
Fine prima parte
La seconda parte prosegue con 2.6.4. Storie di tipi
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