
Counseling psicologico
risponde il dr. Vincenzo Masini
Ritrovare il filo della propria vita: ma qual è la strada da percorrere?
Dire, e non dire. Vedere e non vedere. Essere e non essere. Non sono giochi di parole. Ma un modo per non affrontare la vita. Si può uscire da questo labirinto?
"Ho quasi quarant'anni, un lavoro in proprio impegnativo e gratificante, un marito affascinante che mi adora e a cui voglio moltissimo bene ma con cui non ho rapporti sessuali (non è lui che sia impotente o abbia un'amante, è semplicemente disinteressato al sesso e ormai anch'io), fino a due anni fa (quando mi sono sposata dopo quasi dieci anni di convivenza) ero considerata una gran bella ragazza finchè in questi ultimi due anni ho pensato bene di ingrassare di 23 kg e di lavorare ininterrottamente ...in passato ho sempre alternato momento in cui ingrassavo un po' e che coincidevano con periodi di depressione (malattia per cui sono stata anche curata farmacologicamente e con psicoterapia) ad altri di serenità e di equilibrio anche nel peso. Stavolta però i farmaci che ho preso in passato non hanno sortito nessun tipo di effetto e nemmeno le altre varie medicine con cui hanno provato a sostituirla. Il problema è che stavolta sono ingrassata ma la cosa sembra non riguardarmi, come sembra non riguardarmi la mia vita; oltre alla fobia telefonica (comunico praticamente sempre via e-mail o per fax) anche la ciccia ha creato una distanza dal mondo, sicuramente mi impedisce di continuare ad essere un possibile oggetto di desiderio sessuale da parte degli uomini e mi tiene al riparo da 'tentazioni' reali che in passato ho avuto; a questo ci ho pensato e ci penso.
Stavolta sono ingrassata (mai così prima d'ora) ma non sono depressa, semplicemente non sono: faccio, ma non sono, non esisto. Lavorando come un mulo, senza sosta, io ce la faccio a non essere depressa, perchè sono annichilita.
Da ormai non so più quanto tempo mi alzo la mattina e non mi vesto neanche (ho l'ufficio in casa), la mia unica attività e sforzo sovrumano è lavorare ininterrottamente al computer perché è - questo lo capisco - una cosa che mi ruba a me stessa. Dentro, il vuoto.
è come se fossi al buio, non sento niente, non riesco a concepire domande o emozioni o desideri mi sento proprio vuota lontana in un altrove da cui non so tornare.
Non è che non vada qua e là, non faccia telefonate (poche, come dicevo), non risponda sensatamente alle persone (per stanchezza): no, no, rispondo, mi comporto educatamente - per stanchezza -, e parlo - anche se non ne ho voglia - e lavoro lavoro lavoro lavoro lavoro.
Insomma, è un vuoto in cui ci sono tanti fatti.
Il problema è che non so bene che farmene, di tutti questi fatti. Tutti i fatti superflui ce li ho, mi mancano solo quelli necessari e non so quali sono, i fatti necessari. Mi mancano le persone necessarie e non so quali sono, le persone necessarie. Ma sono solo frasi dette cosi', difficili da riempire. Speravo col tempo si riempissero, purtroppo non succede niente
e -la cosa piu' grave- comincio a provarci quasi gusto, a questo nulla
.
lo so che esiste un piccolissimo vortice in lontananza, qualcosa che scava, cerca, rimesta;
temo che se mollo un attimo qualche elemento destabilizzante farà in modo che le cosacce, il mio vortice interiore che tengo ben sepolti dentro di me e a bada col lavorare senza tregua tracimeranno.
Insomma ci sono tante cose che capisco di me, tante altre che non capisco: è che non so uscirne; tante volte ho pensato che se iniziassi una dieta, andassi in palestra, facessi qualcosa per me potrebbe bastare a rompere il circolo ...ma ora come ora proprio non ce la faccio.
Come si fa a riprendersi la vita?"
Arianna-che-ha-perso-il-filo
Le sembrerà strano che uno psicologo perda la pazienza con un suo cliente. Ebbene io l'ho fatto.
La cliente in questione era una bulimica che ho seguito con dedizione e con il massimo di competenza in mio possesso per quasi un anno. Per motivi che non sto a riferirle avevo anche voglia ed interesse a riuscire positivamente nella risoluzione del suo problema che assumeva la caratteristica di un processo di "invertimento" emozionale: qualunque motivazione o qualunque comprensione, qualunque interpretazione sul vissuto che la conduceva ad abbuffarsi, e qualunque interpretazione sul suo modo di ribaltare le interpretazioni veniva invertito. Anch'io ero invertito.
Tutto sempre più chiaro e, in ragione della chiarezza che si andava squadernandosi, tutto serviva sempre e solo a rinforzare l'autosabotaggio e la distruttività attraverso il cibo. Il momento culminante della vicenda giunge quando, dopo alcune convocazione ai genitori, questi ultimi ammettono di non aver mai preso a ceffoni la figlia perché, pur sapendo che la richiesta di rispetto che la figlia formulava nei confronti del suo malessere era un meccanismo strumentale a togliere loro la possibilità di amarla e pur sapendo che la bulimia della figlia era una disperata richiesta di amore e di interessamento che poteva essere agito anche attraverso il contatto corporeo di 4 ceffoni, loro sapevano che la figlia sapeva che loro sapevano e che dunque qualunque azione sarebbe stata invertita dalla figlia a suo danno e che questo avrebbe prodotto un processo ancora più deteriore nella figlia che già li odiava per il fatto che non le davano 4 ceffoni e che li avrebbe odiati di più se glieli avessero dati.
La loro, si scusavano, non era vigliaccheria ma impossibilità di intraprendere qualunque forma di cambiamento perché erano imprigionati dalla figlia pur sapendo benissimo che in questo modello autodissociato di relazione loro stavano tenendo in trappola la figlia che, a sua volta, invertiva la trappola trasformandola nella sua sperimentata libertà di autodistruggersi. Il peso della ragazza era ormai di 116 chili.
Ed io allora ho perso la pazienza, perchè non sono uno psicologo di plastica.
Non potevo per deontologia intervenire con l'aggressività che mi sentivo bruciare nelle vene e dunque ho trasformato la rabbia in distacco, li ho abbandonati inviandoli ad altro più competente di me. È stato però ben chiaro il movimento di base che era presente in me e il distacco si poneva come unica via per risolvere l'ambiguità di essere stato giocato ed invertito all'interno del sistema di processi mentali che si annullavano reciprocamente annullando ogni possibilità di annullare l'origine patologica dei processi.
Ora la sua lettera è per me una splendida occasione perché so che quella mia paziente legge la posta su Encanta e mi sembra che il tiro mancino di parlare indirettamente di lei serva a due scopi: sia a quella paziente sia a quella parte di lei (dico lei signora tutta casa e lavoro che mi ha scritto) con lo stesso coefficente di ambiguità del parlare a nuora perché suocera comprenda o di parlare a suocera perché nuora comprenda.
Quanto a lei la risposta che cerca esiste: è in mezzo alle tanti frasi che ho scritto ma si illude se pensa che io la proponga su un piatto d'argento in modo che la possa invertire come vuole. C'è, ma c'é e resterà sempre il dubbio, da parte sua, che la risposta che io intendo sia davvero quella che ha scelto lei.
Questa è la vita, e il modo di riprendersela.
Cordialmente
Masini
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