La prima immagine di un “buco nero”

Il 10 aprile 2019 passerà alla storia come la data in cui è stata presentata dal consorzio internazionale Event Horizone Telescope la prima immagine della storia di un buco nero. I media internazionali l’hanno definita la “foto del secolo” ed è per l’Italia motivo di orgoglio. Protagoniste della scoperta rivoluzionaria, infatti, sono due ricercatrici dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl, e Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto “BlackHoleCam”.

“È stata ribattezzata in questo modo perché, oltre ad essere una ricerca scientifica fondamentale, l’immagine è bella e iconica, affascina e fa subito colpo”, commenta Andrea Ferrara, astrofisico e cosmologo della Scuola normale superiore di Pisa. “Ha ottenuto la prima pagina dei maggiori quotidiani del mondo, con una diffusione pari soltanto al crollo delle Torri gemelle. Tante anche le domande che ha suscitato: da che parte sta andando la scienza? Da un anno a questa parte, infatti, alcune scoperte scientifiche, soprattutto quelle nel campo della cosmologia e dell’astrofisica, non hanno più a che fare solo con i numeri e i con calcoli, ma anche con argomenti un tempo di interesse delle discipline umanistiche”.

Tra le tante osservazioni suscitate dall’immagine c’è quella secondo cui non si tratta esattamente di una foto, almeno non nel senso comune del termine. Non è stata ottenuta infatti con telescopi ottici, ma con enormi antenne (radiotelescopi) che captano le onde radio, emesse nello spazio. “Da un certo punto di vista l’affermazione è corretta, ma può essere fuorviante. È vero infatti che l’occhio umano è sensibile solo a una porzione ristretta delle onde elettromagnetiche, la cosiddetta luce visibile, ma ormai siamo abituati a produrre, usare e vedere immagini ottenute con onde elettromagnetiche di lunghezze più grandi o più piccole, alle quali il nostro occhio non è sensibile”, spiega Luciano Anselmo, dell’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione (Isti) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Per esempio, una radiografia è un’immagine ottenuta usando i raggi X e gran parte delle immagini di nubi riprese da satelliti sono ottenute con i raggi infrarossi. Quella del buco nero, quindi, è un’immagine a tutti gli effetti, solo che ottenuta con onde radio alle quali il nostro occhio non è sensibile”.

I radiotelescopi ci permettono di osservare cosa accade a distanze esorbitanti, alle quali nessuno ha idea di cosa accada e che richiedono alla luce viaggi di milioni o miliardi di anni prima di arrivare a noi. Negli ultimi anni ne sono nati molti, nei posti più reconditi del pianeta. Gli scienziati hanno stabilito che per realizzare una foto, cosi precisa ma anche complessa, l’unico modo fosse utilizzare una rete di radiotelescopi distribuiti sul globo, per la precisione in Cile, alle Hawaii e in Antartide, in modo da rendere la Terra un’unica grande “antenna”. Per ottenere il risultato desiderato è stato necessario sincronizzarli, in modo che tutti potessero raccogliere, nello stesso istante, un’enorme quantità di dati da trasferire su dischi rigidi posti negli Stati Uniti. La difficoltà dell’esperimento è consistita nel processare la mole smisurata di dati raccolti e nel ricostruire le parti mancanti in modo che fossero perfettamente compatibili con le osservazioni. Ad attivare il processo di “imaging”, ossia di attivazione degli algoritmi che permettono di recuperare i dati non registrati, è stato un supercomputer. Quindi, i ricercatori hanno fatto il grosso del lavoro: capire se l’immagine registrata ha effettivamente senso, di cosa si tratta, se la sua struttura è quella che è stata vista; tutto senza aver la certezza iniziale che si tratti di un buco nero. Il rischio è alto perché il supercomputer produce un numero illimitato di immagini possibili, che gli esperti devono valutare. È un lavoro di ricerca minuzioso e delicato.

C’è poi la questione del suono. Si può affermare che ciò che è stato rilevato è il rumore di un buco nero che collide con la materia circostante? Dopo questo evento il mondo scientifico ha iniziato a chiedersi se si trattasse davvero del buco nero supermassiccio che si trova al centro della galassia M87, a 55 milioni di anni luce dalla Terra, o della sua ombra. Altri interrogativi si sono sollevati attorno alla questione: possiamo parlare di una vera e propria foto? È insomma un evento che ha sollevato dibattiti, scontri e opinioni contrastanti.
Caterina Onofri
Fonte: Luciano Anselmo, Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione “Alessandro Faedo”, Pisa
Per saperne di più: Almanacco della Scienza

Torna in alto