Ipertensione, un rischio non calcolato dai medici

In Italia l’ipertensione è una patologia mal controllata e sottostimata dai medici. A lanciare l’allarme uno studio del Cnr, dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Iss che ha tenuto sotto osservazione oltre 4.000 pazienti italiani. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati recentemente sul “Journal of Hypertension”.

Agli oltre 15 milioni di italiani ipertesi non farà piacere sapere che la loro patologia è spesso sottovalutata dai medici specialisti. È quanto rivela uno studio condotto da Roberto Volpe del Servizio prevenzione e protezione del Cnr, in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca e con l’Istituto superiore di sanità, su 4.059 pazienti ipertesi in cura da 409 specialisti dell’area cardiovascolare (cardiologi, internisti, diabetologi). È così emerso che solo il 15% degli ipertesi sistolici (ovvero con pressione arteriosa massima maggiore o uguale a 140) e il 34% degli ipertesi diastolici (con la minima maggiore o uguale a 90) raggiungeva valori considerati sotto controllo (vale a dire inferiori a 140 e a 90). Inoltre, l’86% dei pazienti ipertesi presentava, in varia associazione, altri importanti fattori di rischio cardiovascolare (diabete, obesità, ipercolesterolemia, basso colesterolo-Hdl, ipertrigliceridemia, fumo). Ne consegue che ben il 42% dei pazienti ipertesi aveva un profilo di rischio cardiovascolare considerato alto e il 15% molto alto, situazioni in cui vi è la necessità di un incisivo intervento farmacologico. “Al contrario,” commenta Roberto Volpe, “ben il 48% dei pazienti con rischio elevato e il 24% con rischio molto elevato non assumeva alcun farmaco antiipertensivo. In effetti, dal confronto tra rischio calcolato in base al programma computerizzato basato sui criteri della Società internazionale dell’ipertensione e rischio percepito da parte degli specialisti curanti, è emersa una chiara tendenza alla sottostima del rischio cardiovascolare da parte di questi ultimi”.

La forte prevalenza di pazienti ipertesi in sovrappeso e obesi (78% dell’intero campione) conferma, inoltre, l’importanza di affrontare tale fattore di rischio anche in relazione al dato che ben il 46% dei pazienti ipertesi non svolgeva alcuna attività fisica. “In questi casi il medico deve intervenire”, dice il ricercatore del Cnr, “raccomandando una semplice ma costante attività fisica di tipo aerobico come passeggiate a passo veloce, ciclette, bicicletta e nuoto”. L’alta prevalenza di fumatori (27%), invece, denuncia ancora la scarsa sensibilità al problema e la necessità di un maggior impegno per arrivare alla sospensione del fumo, azione che, già dopo 5 anni, comporta una riduzione degli eventi cardiovascolari pari al 50-70%. “Il nostro studio dimostra quanto sia importante la formazione della classe medica in tema di prevenzione cardiovascolare”, conclude Volpe, “ed evidenzia la necessità di una migliore valutazione dei pazienti in termini di rischio globale e la necessità di un conseguente adeguamento dello schema terapeutico al profilo di rischio”. Recentemente, la Società europea di cardiologia ha cercato di porre rimedio a questa situazione raccomandando di diffondere e applicare le linee guida europee proprio con l’intento di far giungere alla classe medica messaggi semplici, comprensibili e facili da spiegare ai pazienti in modo da sensibilizzarli e motivarli, con il fine ultimo di rendere più efficace la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

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