Fu l’uomo la causa dell’estinzione dei mammut

Fino ad oggi, tra le varie teorie che cercavano di spiegare le cause dell’estinzione dei mammut e di altri grandi animali, quella più popolare e generalmente accettata chiamava in causa il ruolo giocato dai cambiamenti climatici avvenuti nel Plesistocene, durante l’Era glaciale.

Ma due nuovi studi presentati in questi giorni dalla rivista “Science” sembrano affermare entrambi che la causa primaria dell’estinzione della megafauna preistorica fu dovuta all’uomo. Il primo studio, di matrice australiana, pone in rapporto l’estinzione di massa di grandi marsupiali e l’avvento dell’uomo in Australia. Usando metodi di datazione radiometrici ed ottici su vari sedimenti contenenti fossili di grandi animali, gli scienziati hanno notato che la loro estinzione sarebbe avvenuta 46.000 anni fa, contro i supposti 20.000. Tale spostamento di data non solo inficia l’ipotesi delle glaciazioni come fattore di estinzione, ma avvicina anche la data della loro scomparsa con l’arrivo dei primi uomini in Australia.

Il secondo studio, dell’Università di California, descrive in una dettagliata simulazione al computer un modello ecologico del nord America alla fine del Pleistocene, dimostrando come la caccia degli uomini, anche se presente in termini statisticamente molto ridotti, può aver direttamente causato la fine dell’esistenza di 32 grandi specie sulle 41 esistenti (tra cui i mammut e i mastodonti). E così la teoria dei cambiamenti climatici sembra non essere più sostenibile: in due diverse parti del mondo, a migliaia di anni di distanza, l’unico comune denominatore nelle estinzione di grandi animali fu dovuta all’entrata in scena degli uomini.

Nuova fonte di energia per gli Stati Uniti?

In Canada, nei territori del Nordovest dove il fiume Mackenzie incontra il mar di Beaufort, alcuni scienziati stanno studiando un grande deposito di metano ghiacciato, nell’intento di poterne ricavare una potenziale fonte di energia. Gli idrati di metano sono sostanze simili al ghiaccio che si trovano nei sedimenti degli oceani e nelle distese artiche. Essi contengono metano in forma altamente concentrata.

Il Canada e gli Stati Uniti stanno investendo molto nella possibilità di ricavare nuove forme di energia dall’idrossido di metano, in quanto hanno tutto l’interesse a ridurre l’eccessivo affidamento riposto sulle fonti di energia dei paesi stranieri, specialmente del Medio Oriente. L’U.S. Geological Survey ha stimato il valore di idrati gassosi presenti negli Stati Uniti in 320 trilioni di piedi cubici di gas, una quantità 200 volte superiore alle risorse di gas naturale convenzionale di tutto il paese. Se solamente l’1 per cento dell’idrato di metano fosse recuperabile, gli Stati Uniti potrebbero più che raddoppiare le loro risorse attuali Fino ad oggi, la maggior parte degli studi sugli idrati di metano si è incentrata sul tentativo di comprendere che cosa sono e come si formano. Il progetto attuale prevede la mossa successiva: come penetrare nei depositi e produrne gas naturale?

L’idrato di metano ha una struttura simile al ghiaccio, una struttura cristallina circondata da molecole d’acqua. L’intenzione degli scienziati è di “scongelare” la struttura per ottenere il “rilascio” del gas. L’operazione al momento si presenta piuttosto complessa perché l’estrazione consuma energia, facendo abbassare le temperatura circostante e bloccando conseguentemente l’emissione del gas. Ma la strada è ormai tracciata e questi momentanei problemi tecnici verranno presto risolti, assicurano gli studiosi. Ed è piuttosto chiaro che la possibilità che gli Stati Uniti possano produrre enormi quantità di energia alternativa nei prossimi anni potrebbe portare a notevoli conseguenze, sia di tipo economico che, indirettamente, politico.

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