Grazie alle meduse si scoprono le cellule difettose

La GFP presente nella Aequorea victoria, modificata dal Cnr-Infm Nest, diventa un segnalatore per diversi bersagli. Lo studio – presentato al convegno “Functional Materials and Molecular Devices for Nanoelectronics and Nanosensing”, – apre ad applicazioni terapeutiche per rilevare tumori in stadio precoce.

La medusa, croce di tutti i bagnanti e nota per le fastidiose lesioni provocate dal suo liquido urticante, contiene una particolare proteina che emette luce e che può essere usata come “marcatore visivo” per trovare difetti all’interno delle cellule. E’ il risultato di uno studio presentato da Fabio Beltram del Cnr-Infm (Istituto Nazionale per la Fisica della Materia-Consiglio Nazionale delle Ricerche) e del Nest (National Enterprise for nanoScience and nanoTechnology) della Scuola Normale Superiore di Pisa, nel corso del convegno “Functional Materials and Molecular Devices for Nanoelectronics and Nanosensing”.
La proteina in questione è la Proteina Fluorescente Verde presente nella Aequorea victoria, medusa che abita nelle acque profonde del Pacifico. La GFP offre parecchi vantaggi: è fluorescente ad una determinata lunghezza d’onda, quindi facilmente visibile, e per questo può essere utilizzata come marcatore specifico; inoltre è una molecola presente in natura e quindi risponde ai principi di biocompatibilità (non è tossica ed è facilmente smaltibile per tutti gli organismi); al contrario della maggior parte delle proteine, infine, è capace di “funzionare” anche in altri organismi, senza l’ausilio di molecole presenti solo nell’animale d’origine.

Questa ed altre proteine fluorescenti, alcune delle quali sono divenute brevetti del Cnr, possono essere modificate fornendo loro proprietà aggiuntive. E’ appunto quello che ha fatto il gruppo di ricerca guidato da Fabio Beltram, che ha attribuito ad alcune di queste proteine la capacità di cambiare conformazione e acquisire nuove proprietà, come il cambiamento di colore, in risposta a stimoli esterni quali la presenza di una specifica proteina mutata o la concentrazione di una specie chimica. “Queste proteine mutate – spiega Beltram – da semplici lampadine fluorescenti diventano così dei veri e propri sensori, che reagiscono all’ambiente inviando segnali all’esterno”.
Il laboratorio del ricercatore del Nest Cnr-Infm sta già sperimentando alcune applicazioni di queste proteine-sensori in campo diagnostico, effettuando test su cellule umane e costruendo segnalatori per diversi bersagli. “Al Dna di queste proteine-sensori infatti – continua Beltram – è possibile aggiungere anche un altro pezzo di Dna con la funzione di vettore educato alla ricerca di una determinata proteina bersaglio. Quindi, oltre ad insegnare alla cellula a formare da sé la proteina-sensore, si fornisce a questa un ‘motorino’ che le permette di entrare nelle cellule e vagare alla ricerca del bersaglio per cui è stata educata. Una volta trovato il bersaglio, la proteina-sensore si lega ad esso e questo legame provoca il cambiamento di conformazione e di colore”.

Il grandissimo potenziale in campo biomedico aperto da queste ricerche riguarda, oltre alla diagnostica, anche il campo terapeutico. Sono in sperimentazione delle proteine-sensori che nascondono in sé un potenziale farmacologico, chiamate “pro-farmaci”, cioè non farmacologicamente attive ma che possono attivarsi in caso di segnali particolari (come la presenza di una proteina mutata). Questa nuova scienza, chiamata “nanomedicina”, sta muovendo ancora i suoi primi passi, ma lo scenario che apre è quello di portare queste proteine dentro un organismo apparentemente sano per rilevare la presenza di cellule mutate, altrimenti invisibili, come quelle tumorali in stadio precoce, e poterle quindi distruggere.

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