La terra rischia la catastrofe

Lo svela la geochimica isotopica. Si è fatto il punto dello stato della ricerca su uno dei periodi più importanti della storia geologica nel convegno “La geologia del Quaternario in Italia: temi emergenti e zone d’ombra”, che si è svolto a Roma, nei giorni scorsi, nella sede centrale del Cnr. Ma si sono fatte anche previsioni sulle condizioni climatiche del futuro. E non si intravede nulla di buon.

Pensate che la geochimica isotopica, con le sue tecniche di ricostruzioni di paleoclimi e di condizioni paleoambientali sia utile solamente per studiare il passato? Vi sbagliate. Questa disciplina consente di fare previsioni anche sull’evoluzione futura delle condizioni climatiche del nostro Pianeta. Lo dimostra l’intervento di Antonio Longinelli dell’Università di Parma, che ha aperto il convegno “La geologia del Quaternario in Italia: temi emergenti e zone d’ombra”, organizzato dall’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cn. “Gli ultimi modelli climatologici” sostiene il docente”, indicano un sostanziale incremento delle temperature atmosferiche, che può essere riferito principalmente alla crescente concentrazione di quelli che vengono genericamente definiti gas serra”.

Tra questi, una delle maggiori imputate è l’anidride carbonica (CO2), il cui incremento annuo di concentrazione nell’atmosfera è arrivato a poco meno di due parti per milione. Questa quantità, che di per sé potrebbe sembrare minima, deve invece essere considerata assai elevata, particolarmente se si tiene conto che per ora, fortunatamente, quasi il 50% di CO2 di origine antropogenica viene assorbita dalle acque oceaniche e dalle foreste. “Ma le foreste”, spiega Longinelli, “vengono distrutte al ritmo di decine di migliaia di ettari per anno e il comportamento degli oceani tende a modificarsi nel tempo”.

Quest’ultima considerazione è il frutto di quasi dieci anni di misurazioni della concentrazione di CO2 compiute in mare aperto, sulla rotta compresa tra l’Italia e l’Antartide. Nel corso delle spedizioni, oltre a misurare la concentrazione atmosferica di CO2, se ne è esaminata la composizione isotopica e dagli indicatori rilevati è emerso che in alcune aree oceaniche, in particolare nella fascia circumpolare tra la Nuova Zelanda e l’Antartide, l’acqua anziché assorbire costantemente, come normalmente fa, l’anidride carbonica, tende sempre di più a rilasciarla, contribuendo quindi all’incremento della sua concentrazione atmosferica. “Se si arriverà a una sostanziale modificazione degli equilibri atmosfera-oceano”, spiega Longinelli, “questa potrà contribuire a un’accelerazione del fenomeno e, nel giro di poche decine di anni, determinare condizioni climatiche a dir poco catastrofiche per il nostro Pianeta”.

Il convegno ha fatto il punto della situazione sullo stato della ricerca sulla geologia del Quaternario in Italia. Questo periodo è infatti uno dei più importanti della storia geologica poiché fornisce elementi utili per valutare lo sviluppo futuro di settori quali il clima, la stabilità dei versanti e la sismicità.
Gli interventi, circa novanta, oltre a dare spazio a temi emergenti, tra cui la geoarcheologia e le fluttuazioni climatiche, hanno voluto evidenziare anche le attuali lacune nella ricerca sul Quaternario.

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