Il vangelo secondo Gesù Cristo

José Saramago
Traduzione: Rita Desti
Collana: Universale Economica – Feltrinelli
Pagine: 352 Prezzo: Euro 9,5

Una rilettura in termini razionalistici del Nuovo Testamento per raccontare le vicende della vita del Cristo come le esperienze di un uomo normale. Il problema del bene e del male in un mondo dominato da un dio avido di potere, artefice di sofferenza e morte.

Il libro
Nella sua potente riscrittura della storia evangelica, Saramago narra di un Gesù Cristo in tutto e per tutto umano. Il figlio di Dio incarna così i dubbi e le sofferenze propri della condizione universale dell’uomo. Dalla nascita a Betlemme alla morte sul Golgota, affronta le medesime esperienze descritte nel Vangelo, però secondo una prospettiva terrena, forte di spirito critico, senso logico e pietà. Non c’è fede nei miracoli, bensì coscienza di essere in balìa della volontà di potenza di un Dio padre distante e indifferente al dolore che provoca. La serie di disgrazie, stragi e morti che costellano l’esistenza di Gesù, fino al non cercato e non accettato compimento del destino di vittima sacrificale, diventa così un’occasione per riflettere sulla contrapposizione tra bene e male in terra, l’assurdità di fare il giusto tramite l’ingiusto, l’inesorabilità della colpa, l’imperscrutabile senso della vita e la sconcertante ambiguità della divinità.

Estratto
Si vede il sole in uno degli angoli superiori del rettangolo, quello alla sinistra di chi guarda, e l’astro re è raffigurato con la testa di un uomo da cui sprizzano raggi di luce pungente e sinuose lingue di fuoco, come una rosa dei venti indecisa in quali direzioni puntare, e quel viso ha un’espressione piangente, contratta da un dolore inconfortabile, e dalla bocca aperta emette un urlo che non potremo udire, giacché nessuna di queste cose è reale, quanto abbiamo davanti è solo carta e colore, nient’altro. Sotto il sole vediamo un uomo nudo, legato a un tronco d’albero, i fianchi cinti da un drappo, a coprirgli le parti che chiamiamo intime o vergognose, e i piedi li ha posati su quanto resta di un ramo tagliato, ma per maggior saldezza, perché non scivolino da quel sostegno naturale, sono fissati da due chiodi, profondamente conficcati. Dall’espressione del viso, d’ispirata sofferenza, e dalla direzione dello sguardo, levato in alto, deve essere il Buon Ladrone. I capelli, a riccioli, sono un altro indizio che non tradisce, infatti è noto che angeli e arcangeli li usano così, e il criminale pentito, a quanto pare, è già sulla buona strada per ascendere al mondo delle celesti creature. Non sarà possibile appurare se questo tronco sia ancora un albero, solo adattato, per selettiva mutilazione, a strumento di supplizio, ma che continua a nutrirsi dalla terra con le radici, visto che la parte inferiore è completamente coperta da un uomo con la barba lunga, vestito con ricchi abiti, sontuosi e ampi, il quale, benché con il viso sollevato, non guarda certo il cielo.

Questa solenne postura, questo sembiante triste possono appartenere solo a Giuseppe di Arimatea, ché Simone di Cirene, senza dubbio altra ipotesi plausibile, dopo il lavoro cui lo avevano costretto, aiutare il condannato nel trasporto del patibolo, secondo i protocolli di tali esecuzioni, se n’era tornato alla sua vita, alquanto più preoccupato per le conseguenze del ritardo su un affare che aveva rinviato che non per le mortali pene di quello sventurato che stavano per crocifiggere. Orbene, questo Giuseppe di Arimatea è quel caritatevole e benestante uomo che offrì il servizio del proprio tumulo perché vi fosse deposto il corpo principale, ma non gli servirà granché la sua generosità al momento delle santificazioni, e neppure delle beatificazioni, giacché ad avvolgergli la testa non possiede altro che il turbante con cui esce di casa tutti i giorni, al contrario di questa donna che vediamo in primo piano, con i capelli sciolti sulle spalle, curva e china, ma toccata dalla suprema gloria di un’aureola, nel suo caso frastagliata come un ricamo fatto in casa. La donna inginocchiata si chiamerà di certo Maria, perché sappiamo già che tutte quelle radunate qui portano questo nome, ma solo una, essendo in più Maddalena, si distingue onomasticamente dalle altre, ebbene, qualunque osservatore, purché abbastanza addentro ai fatti elementari della vita, giurerebbe di primo acchito che la suddetta Maddalena è proprio questa, giacché soltanto una come lei, con un passato dissoluto, avrebbe osato presentarsi, nel tragico momento, con una scollatura così profonda e con un bustino tanto ridotto da farle risaltare e sporgere le rotondità dei seni, ragion per cui, inevitabilmente, attira e fissa su di sé lo sguardo avido degli uomini che passano, pregiudicando seriamente le anime, trascinate così alla perdizione dal turpe corpo.

È tuttavia di compunta tristezza l’espressione del suo viso, e l’abbandono del corpo non esprime altro che il dolore di un’anima, sì, magari nascosta da carni tentatrici, ma che dobbiamo pur tenere in conto, stiamo parlando dell’anima, è chiaro, questa donna potrebbe essere addirittura completamente nuda, se avessero scelto di raffigurarla in tale stato, eppure dovremmo dimostrarle comunque rispetto e considerazione. Maria Maddalena, se è lei, sostiene e, con un gesto di compassione intraducibile a parole, sembra sul punto di baciare la mano dell’altra donna, questa sì, accasciata a terra, quasi priva di forze o ferita a morte. Anche lei si chiama Maria, seconda in ordine di apparizione, ma, senza dubbio, di primissima importanza, ammesso che significhi qualcosa il posto centrale che occupa nella parte inferiore della composizione. A parte il viso piangente e le mani inerti, nulla le si riesce a vedere del corpo, coperto dalle innumerevoli pieghe del mantello e della tunica stretta in vita da un cordone di cui s’indovina la ruvidezza. È più vecchia dell’altra Maria, e questa probabilmente è una buona ragione, ma non l’unica, perché la sua aureola abbia un disegno più complesso, o perlomeno questo sarebbe autorizzato a pensare chi, non disponendo di informazioni precise su priorità, graduatorie e gerarchie in vigore su questo mondo, fosse costretto a esprimere un’opinione. Ma, tenendo conto del grado di divulgazione, fatta con arti maggiori o minori, di queste iconografie, solo un abitante di un altro pianeta, supponendo che non vi avessero mai replicato, o magari solo messo in scena, questo dramma, solo quell’essere davvero inimmaginabile ignorerebbe che l’addolorata è la vedova di un falegname di nome Giuseppe e la madre di tanti figli e figlie, sebbene solo uno, per i dettami del destino o di chi lo regola, abbia finito col prosperare, non tanto in vita quanto, soprattutto, dopo morto. Adagiata sulla sinistra, Maria, la madre di Gesù, proprio quello di cui abbiamo appena detto, appoggia l’avambraccio sulla coscia di un’altra donna, anch’essa inginocchiata, anch’essa di nome Maria, e in fondo, benché non possiamo vedere né immaginare la sua scollatura, forse la vera Maddalena.

Identica alla prima di questa trinità al femminile, ha i lunghi capelli sciolti sulle spalle, ma questi hanno tutta l’aria di essere biondi, a meno che non sia dovuta a pura casualità la differenza del tratto, più lieve in questo caso e con alcuni spazi vuoti fra una ciocca e l’altra, il che ovviamente sarà servito all’incisore per schiarire la tonalità della chioma raffigurata. Con simili ragioni non intendiamo affermare che Maria Maddalena sia stata di fatto bionda, ci stiamo solo adeguando alla corrente d’opinione prevalente, che insiste nel vedere nelle bionde, sia in quelle naturali sia in quelle tinte, i più efficaci strumenti di perdizione. Essendo stata, com’è noto, Maria Maddalena una donna così peccaminosa, perduta come tante altre, doveva pur essere bionda, per non smentire le credenze, bene o male acquisite, di una buona metà del genere umano. Comunque, non è che, perché apparentemente più chiara di carnagione e colore di capelli rispetto all’altra, suggeriamo e proponiamo, contro le prove schiaccianti di una profonda scollatura e di un seno in mostra, che sia questa terza Maria la Maddalena. Un’altra prova, e molto consistente, rafforza e convalida l’identificazione, e cioè che questa donna, per quanto sostenendo appena, con fare un po’ distratto, l’estenuata madre di Gesù, ha lo sguardo rivolto verso l’alto, ed è uno sguardo di autentico e appassionato amore, che ascende con forza tale da sollevare apparentemente tutto il corpo, tutto il suo essere carnale, come un’aureola raggiante capace di far impallidire l’alone che già le circonda il capo e disperde pensieri ed emozioni. […]

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