Sobrietà

Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti
Centro nuovo modello di sviluppo
Francesco Gesualdi
Collana: Universale Economica Saggi
Pagine: 176 Prezzo: Euro 7

Dalla protesta a tutto campo alla proposta di un nuovo stile di vita che ci induca a evitare i tanti sprechi che costellano la nostra quotidianità.

Il libro
Il mondo siede su due bombe: la crisi ambientale e quella sociale. Mentre le risorse si fanno sempre più scarse, alcuni segnali relativi al cambiamento del clima indicano che gli equilibri naturali si stanno alterando in maniera irrimediabile. Nel contempo sappiamo che la maggior parte della popolazione terrestre non riesce a soddisfare neanche i bisogni fondamentali: il cibo, l’acqua potabile, il vestiario, l’alloggio, l’istruzione di base. Ci troviamo di fronte a un dilemma angosciante: più crescita economica per uscire dalla povertà o meno crescita economica per salvare il pianeta? C’è un modo per coniugare equità e sostenibilità. La soluzione sta nel fatto che i popoli ricchi si convertano alla sobrietà, ossia accettino uno stile di vita, personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito, più lento, più inserito nei cicli naturali, in modo da lasciare ai poveri le risorse e gli spazi ambientali di cui hanno bisogno. Varie esperienze individuali e di gruppo dimostrano che la sobrietà è non solo possibile ma anche liberatoria. Ma la sobrietà preoccupa per i suoi risvolti sociali. In primo luogo l’occupazione. Se consumiamo di meno, come creeremo nuovi posti di lavoro? Se produciamo di meno, guadagnando quindi di meno, chi fornirà allo stato i soldi necessari a garantire istruzione, sanità, viabilità, trasporti pubblici? In conclusione, è possibile vivere bene con meno? È possibile coniugare sobrietà con piena occupazione e garanzia dei bisogni fondamentali per tutti? È possibile passare dall’economia della crescita all’economia del limite, facendo vivere tutti in maniera sicura? Questo libro dimostra che è possibile purché si mettano in atto quattro rivoluzioni che riguardano stili di vita, produzione e tecnologia, lavoro ed economia pubblica.

Dal Capitolo 1, Squilibri scandalosi
Una volta tanto svègliati dall’apatia e imponiti un sussulto di dignità. Scrollati di dosso la scimmia dell’indifferenza. Liberati dalle frivolezze della televisione. Vai oltre il provincialismo imposto dalla grande stampa. Dai un calcio alla retorica del nazionalismo, del patriottismo, del militarismo e altri rigurgiti fascisti. Torna a pensare con la tua testa e guarda il mondo in faccia in tutta la sua realtà. Allora scoprirai che l’umanità sta vivendo il più grave scandalo della sua storia. Mai ha prodotto tanta ricchezza, mai ha creato tanta povertà.
Poveri in casa dei ricchi
Che viviamo in un mondo ricco, non abbiamo bisogno che ce lo raccontino. Basta guardarci allo specchio, mettere la testa nei nostri guardaroba, nei nostri frigoriferi, nei nostri garage, nelle nostre pattumiere. Se facessimo attenzione al nostro stile di vita ci renderemmo conto di vivere addirittura nell’opulenza e nello spreco. Ignoriamo, però, che è una condizione di privilegio riservata a pochi.
La povertà sta entrando a passi da gigante anche nelle nostre società opulente e non colpisce solo gli immigrati clandestini, ma i nostri stessi connazionali. Le statistiche ci dicono che in Italia la povertà riguarda quasi il 12% della popolazione per un totale di sette milioni di persone. Ma la Cgil ritiene che siano molti di più perché, ci avverte, ci sono tre milioni di lavoratori che guadagnano meno di ottocento euro al mese e altri tre che ne guadagnano meno di mille.
Nella vecchia Europa dei quindici, i poveri sono 55 milioni pari al 14% della popolazione, mentre negli Stati Uniti sono 49 milioni e nell’Europa dell’Est addirittura 157 milioni. Sommati a quelli del Giappone e dell’Australia fanno 283 milioni, pari al 23% della popolazione dei paesi industrializzati.

Per chi la vive, la povertà non ha bisogno di molti aggettivi. Ma chi la studia ha bisogno di sezionarla, misurarla, classificarla. Per esempio, la povertà che si incontra nella nostra parte di mondo è definita povertà relativa per indicare che è il risultato di un confronto. Più precisamente, si considera povero chiunque sia nell’impossibilità di andare oltre il 50% dei consumi medi. Un caso è rappresentato dalle famiglie di due persone con entrate inferiori agli ottocentosettanta euro al mese.
La categoria dei poveri è molto vasta e comprende disoccupati, anziani con pensioni insufficienti, bambini senza famiglia, malati psichici abbandonati. Alcuni si trovano in condizione di povertà strisciante, mentre altri fanno addirittura la fame. La Fao, l’agenzia delle Nazioni unite per l’agricoltura, ci ricorda che nel mondo opulento ben dieci milioni di persone soffrono la fame. Camminando per le città, capita anche a noi di vedere senzatetto che frugano nei bidoni della spazzatura in cerca di avanzi di cucina. Ma al colmo del paradosso, la povertà si manifesta anche con il volto dell’obesità, sintesi perfetta di quattro privazioni: la mancanza di istruzione, la mancanza di senso critico, la mancanza di dignità e la mancanza di denaro. L’obesità è emblema del consumismo a buon mercato di chi può ingozzarsi solo di cibo spazzatura confezionato con le peggiori porcherie salvacosti. […]

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