Vittorio Zucconi racconta George Bush

Intervista a Vittorio Zucconi su George a cura della redazione di www.feltrinelli.it
Vittorio Zucconi presenta un libro veloce e divertente su George W. Bush, le sue manie, i suoi “bushismi” linguistici, sul suo immenso potere. “George” sarà in libreria da marzo 2004.

Cos’è George?
George è prima di tutto la storia di un uomo, di un uomo che diventa una politica, che diventa una guerra, che diventa qualcosa di completamente diverso da quello che lui stesso credeva di essere: il “punto di attrazione”, come si direbbe nel linguaggio del Pentagono, la carta moschicida per attirare sull’America, per catalizzare – se vogliamo usare una parola più nobile – rancori, odi, sospetti che certamente nessuno immaginava che fossero così violenti. Così tutto si riassume molto prima che in una politica, in un uomo, nella storia di un ragazzo scapestrato con tre arresti alle spalle che rubava le decorazioni natalizie nei drugstore dove andava all’università e che improvvisamente diventa il cavaliere bianco che deve salvare l’Occidente. Da pecora nera della famiglia Bush a cavaliere bianco, vero o immaginario, dell’Occidente e dell’America

Nel libro ci sono anche degli episodi che fanno sorridere: racconti la vita di Bush fin da ragazzo. Anzi fin da quando è nato per arrivare alla sua carica di presidente degli Stati Uniti d’America.
Il mio libro non è un saggio di politologia, anche se tutto è politica, e davvero nel caso di George Bush il personale diventa politico, come si diceva nel passato. Già dalla nascita molto tumultuosa raccontata dalla mamma, Barbara Bush, che stava in travaglio da ore ed ore e fu costretta dalla suocera a prendere una dose cavallina di olio di ricino per cui il futuro presidente degli Stati Uniti nacque, come disse la stessa mamma nelle sue memorie, circonfuso da una nube di gloria, perché gli spasmi della povera donna provocarono scariche terrificanti di tutto. Ma la storia che io trovo più toccante, se è la parola giusta, è la sua vita da bambino, la sua vita in questi paesi del Texas molto noiosi, in questi sobborghi tutti uguali dove il papà usciva di casa la mattina (il papà sarebbe l’altro presidente) e dava un bacino alla mamma, la mamma restava a casa coi bambini, i bambini giravano con la biciclettina, giocavano a baseball, insomma il mondo dei Peanuts, il mondo di Charlie Brown, il mondo di Schultz, un po’ anche il mondo di Salinger ma senza nevrosi, perché Bush non è uno che soffra di nevrosi. C’è un episodio che mi ha sempre colpito molto: il papà telefonava costantemente a casa per sapere cosa stessero facendo i figli, come fanno spesso i papà, e un giorno la mamma gli ha detto “George W. giocando a baseball ha tirato la palla e ha rotto il vetro di una finestra di una casa dall’altra parte della strada”. E il padre rispose “Ah, però, che bel colpo, un tiro lungo!”.

Nel libro c’è quindi una grande componente aneddotica, ma c’è anche una riflessione su quella che è da una parte la politica americana, e dall’altra parte anche gli errori e la crisi che sta attraversando la sinistra americana, che non riesce a relazionarsi in maniera vincente rispetto alla presidenza americana…
All’ascesa al potere di Bush – definirla vittoria è un po’ forte perché lui queste elezioni non le ha vinte – dedico un lungo capitolo, non per fare dell’archeologia politica ma per dire la verità sulle elezioni: Bush è il primo presidente della storia americana votato dalla Corte suprema, non votato dagli elettori, e portato così alla Casa Bianca. Ma non si può spiegare questa “vittoria” senza la disfatta e il suicidio della sinistra americana che è rimasta crocifissa nell’immagine di Clinton, trafitta nella difesa di quest’uomo, una difesa che si è trascinata troppo a lungo, ed è costata moltissimo in termini morali, (parlo del famosissimo episodio di Monica Lewinsky e del vestitino blu macchiato) e che poi l’ha lasciata del tutto spossata, perché non ha più un personaggio di carisma in grado di coprire tutti i buchi politici, ma che non ha neppure una piattaforma da opporre a Bush… e poi il tutto è stato ulteriormente devastato l’11 settembre da Ground Zero, che ha sconvolto le carte del gioco politico americano. E qui la vera tragedia è che il famoso bipartitismo. anzi bipolarismo perfetto americano che noi per tanti anni abbiamo invidiato e tardivamente cercato di imitare, sta diventando un bipolarismo imperfetto in cui non si capisce più chi sia chi e dove siano i vari partiti. Per cui ci si avvia a una molto probabile disfatta del partito democratico e a un trionfo di forze che non sono soltanto forze conservatrici, ma forze retrive, le forze di questa destra religiosa, fanatica, messianica che si è collegata alla destra invece astuta e intelligente dei neoconservatori, intellettuali che hanno le idee molto chiare su come usare la potenza e ci hanno portato a questo Iraq del quale ancora non sappiamo quali potranno essere le conclusioni.

In America in questo momento rispetto alla questione delle tante bare che stanno tornando in patria che tipo di reazioni ci sono?
In America per il momento, a differenza di quello che è accaduto in Italia con la tragedia di Nassiriya, c’è molta più compostezza, direi molta più freddezza, non nel senso negativo. E non soltanto perché questo è un paese calvinista, puritano, mentre noi siamo un paese cattolico, delle Madonne pellegrine e delle processioni, ma perché il patto politico e civile tra il potere e la nazione è stato chiarito prima di andare in guerra; si è detto noi andiamo in guerra per combattere un nemico mortale per la sicurezza americana, per la sicurezza vostra in casa vostra, ed era Saddam Hussein. Vera o falsa che fosse questa premessa, e non ne discutiamo qui, però il patto tiene: si muore perché si è in guerra e si è in una guerra importante e necessaria, o così viene creduta dalla gente. Per cui non si piangono troppe lacrime sulle centinaia di soldati che tornano morti. E’ esattamente il contrario di quanto accade da noi dove invece queste morti non sono mai state spiegate bene, perché non è mai stata chiarita bene la missione di questi soldati, e allora naturalmente esplode un po’ il pietismo e soprattutto esplode il “codadipaglismo”, il fatto che c’è un rimorso e una coda di paglia per non capire perché sono andati a morire. Qui per il momento lo sanno. Presto o tardi, se continua così, si spezzerà il patto perché la bugia fondamentale che nasconde queste morti verrà a galla. Del resto io ricordo sempre e lo dirò nel libro, che il Vietnam non è cominciato come Vietnam. Il Vietnam è cominciato con la più vasta approvazione dell’opinione pubblica per almeno 5, 6, 7 anni fino a quando tutto si spezzò nel ’68.

Torna in alto