Immagine Comunicazione, counseling, formazione

di Annarosa Pacini
psicopedagogista, grafologa, giornalista, esperta di comunicazione


Come diventare buoni genitori

Immagine Ho scelto appositamente i “buoni genitori” piuttosto che “bravi genitori”. Perché il concetto di “bravo” include in sé già un giudizio di merito, mentre “buono” indica una qualità che appartiene al soggetto. Si può essere genitori bravi, ma non buoni, mentre difficilmente si si riesce ad essere “buoni genitori” non si sarà anche bravi.

Il buon genitore non è in gara con se stesso, né con gli altri, consapevole del suo modo di essere, dei suoi limiti, come delle sue migliori qualità, riesce ad instaurare con il proprio figlio un rapporto umano paritario, base fondamentale per ogni buona relazione. Questo non significa abdicare al ruolo di genitore a favore, ad esempio, di quello di amico, o confidente. Paritario nel rispetto e nel riconoscimento della dignità individuale, non nei ruoli. L’autorevolezza, soprattutto se supportata da un comportamento coerente, è una importante e necessaria prerogativa dell’essere genitore. Autorevolezza che non deriva, automaticamente, dal ruolo che si ricopre, ma che deve essere conquistata. Che appartiene alla persona ed ai suoi valori, non al ruolo. Qualcuno di voi dirà: ma io tratto mio figlio nel modo giusto, che sciocchezze vai scrivendo. Non lo metto in dubbio. Pur tuttavia, nella mia attività di counselor, molte e diverse sono le realtà che mi è accaduto di incontrare. Vi faccio degli esempi, tratti da dinamiche comunicazionali reali:
un genitore dice al proprio figlio
- sei un ciccione
- hai il cervello sconnesso
- nella tua vita non combinerai mai nulla di buono
- gli altri sono meglio di te
- guarda X, Y, Z, lui si che è bravo, veloce, obbediente, fa questo e fa quello che tu non fai, e potrei continuare molto, molto a lungo. Alla comunicazione verbale si aggiunge quella non verbale, espressioni, tono della voce, postura, che aggiungono altri messaggi di dis-valore: non sei come vorrei, non ti comporti in un modo che mi piace, non sei adeguato. Quando ne parlo con i genitori, hanno sempre una spiegazione a questi comportamenti, e so che per loro è vera. So anche, però, e devo dire purtroppo, che altrettanto vera è la sofferenza che questi comportamenti producono nei loro figli. Pensiamoci bene: come reagiremmo se un adulto ci dicessi le stesse frasi, o ci manifestasse lo stesso tipo di giudizio nei nostri confronti? Ma, con le persone di pari età, spesso gli adulti si comportano diversamente. Perché li considerano con più facilità “come loro”. Quindi, per un amico, il “sei ciccione”, si trasformerebbe in “Mi pare che tu stia prendendo peso, magari è meglio se vai da un dietologo, oppure inizi a fare un po’ di palestra, potrebbe farti male alla salute”. Suona in modo diverso, non è vero?
Per questo lavorare sulla comunicazione e sulle relazioni diventa fondamentale in tutti i casi in cui c’è qualcosa che non ci soddisfa, nella comunicazione interpersonale in famiglia, con il partner, al lavoro, o, come in questo caso, con i figli. A volte basta davvero poco perché la situazione possa trovare nuova armonia e nuova serenità, perché i contrasti si plachino, le incomprensioni diventino comprese, i risultati scolastici migliorino, o, se ci riferiamo ad un adulto, migliori il clima lavorativo. Quindi, il nostro “buon genitore” è un genitore che riesce a comunicare con il proprio figlio in moda tale da capirlo ed essere capito. Vedremo in un prossimo articolo come. (fine seconda parte)

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